Non esistono verità assolute o dogmi insindacabili. Questi sono solo strumenti concepiti per soggiogare la vostra mente

martedì 20 dicembre 2011

IL PAPA CHE RISCRISSE LA BIBBIA


di Marco Capurro


Sisto V (Felice Peretti, il cardinal Montaldo) fece in cinque anni un lavoro che ne avrebbe richiesto cinquanta. Costrinse squadre di uomini a lavorare giorno e notte per sistemare la cupola di San Pietro. Fece spostare l'obelisco, palmo a palmo, da centinaia di uomini e muli fino all'attuale posizione nella piazza. Costruì la Libreria Vaticana. Fece erigere un acquedotto che portasse l'acqua fino al centro di Roma. Si meritò ampiamente il soprannome "Il Turbine Consacrato". 


Insieme ad una titanica energia c'era però uno straordinario egotismo.
Egli affermò il suo potere temporale su principi e re. Quando Roberto Bellarmino, uno dei più strenui difensori del papato dall'epoca di Tommaso d'Aquino, suggerì nel suo libro "Controversie" che il papa aveva solo una giurisdizione indiretta sui reggenti del mondo temporale, Sisto lo censurò spietatamente.
Egli, dichiarò, poteva per qualsiasi motivo e comunque gli piacesse nominare o licenziare chiunque, compresi gli imperatori.
Censurò anche il teologo Vittorio per aver osato dire che era giusto disobbedire ad ingiusti ordini di un papa. Lui, Sisto V, mise all'indice entrambi i libri di questi due "rinnegati".

I cardinali della Congregazione dell'indice erano terrificati dal dover dire a sua Santità che entrambi gli autori citati (Bellarmino e Vittorio) basavano i loro scritti su innumerevoli documenti dottrinali di santi e studiosi cattolici. Il Conte Olivares, ambasciatore spagnolo a Roma, scrisse al re Filippo II° che i cardinali tenevano la bocca chiusa "per paura che Sisto potesse fargli sentire il duro sapore del suo temperamento e, forse, costringerli a mettere all'indice persino i santi stessi".

Sisto si comportò molto male soprattutto con il gesuita Bellarmino, che aveva cooperato con lui nell'edizione dell'opera completa di Sant'Ambrogio, nel corso della quale il papa aveva ogni volta stravolto il giudizio del suo collaboratore.

Lo stesso atteggiamento il papa lo tenne verso la Bibbia ed i risultati furono drammatici.
La versione latina della Bibbia, la Vulgata, era opera di San Gerolamo nel quarto secolo ed aveva avuto un posto significativo nel corso del Medioevo.
 Il Concilio di trento (1546) aveva stabilito che la "Vulgata" era la versione autentica della Bibbia ed essa sola doveva essere usata nei sermoni, discussioni o letture.
Purtroppo il lavoro di riporto dei copisti aveva prodotto molti errori e la stampa moltiplicò il numero degli sbagli. Con la Riforma i Protestanti produssero la loro personale versione della Bibbia e diventava imperativo che anche i cattolici potessero fruire di un testo affidabile della Vulgata in tutte le discussioni.
Dopo tre anni di pontificato, nel 1588, gli venne presentato (a Sisto) il testo finale predisposto dalla commissione di studiosi a cui aveva dato l'incarico. Secondo il pontefice c'era troppo lavoro di ricerca, troppe variabili interpretative. Il papa scacciò il capo della Commissione, il cardinal Carafa, fuori dalla stanza urlando che avrebbe provveduto lui personalmente.
In una Bolla di 300 parole dichiarò che lui, il papa, era l'unico soggetto in grado di produrre una "autentica Bibbia" per la Chiesa.

E lo fece.
Lavorando giorno e notte (soffriva d'insonnia), operando su di un testo popolare e provvedendo ad aggiunte personali dove gli sembrava fosse opportuno, completò l'opera in circa diciotto mesi. Cambiò radicalmente il sistema di riferimenti. Cambiò i capitoli, che erano stati strutturati abilmente da Roberto Stefano nel 1555 ed erano universalmente adottati. Dimenticò addirittura interi versi e cambiò i titoli dei Salmi.


Tutte le vecchie bibbie e tutti i testi scolastici divennero di colpo obsoleti.
Nel 1590 gli furono presentate le prime copie "in folio". "Splendido" disse il papa, finché non si accorse delle centinaia di errori di stampa. Per non perdere tempo provvide personalmente alla correzione delle bozze (ci mise sei mesi) passandole poi alla stampa, mentre la sua Bolla "Aeternus ille" era già pronta da tempo e recitava autoritativamente: "Nella pienezza del potere Apostolico, Noi dichiariamo e decretiamo che questa edizione....approvata per l'autorità conferitaCi da Dio, deve essere ricevuta e tenuta come vera, legittima, autentica, ed inquestionabile in tutte le discussioni, letture, preghiere e spiegazioni pubbliche e private". A nessuno era permesso, editore o libraio, di deviare di una virgola da questa finale ed autentica versione della Bibbia latina. Chiunque contravvenisse alla Bolla papale doveva ritenersi automaticamente scomunicato e solo il papa poteva assolverlo. Erano previste anche punizioni materiali e temporali.
Verso la metà di aprile furono distribuite copie a cardinali ed ambasciatori. Quattro mesi dopo il papa era morto.

Papa Gregorio XIV
Il papa successivo morì dopo dodici giorni di pontificato (Urbano VII). Toccò quindi a Gregorio XIV cercare di porre rimedio alla questione della Bibbia. Ma come fare? Una Bibbia era stata imposta al mondo cattolico con l'intero peso del potere papale, ma era piena di errori. Il mondo accademico era in subbuglio ed i Protestanti si divertivano un sacco per l'intera faccenda. Il cardinal Bellarmino , rientrato a Roma dall'estero e personalmente sollevato per la morte di Sisto V, che l'aveva messo all'indice, suggerì a Gregorio XIV, invece di proibire la Bibbia, di farla correggere, ove fosse possibile, cercando di recuperare tutte le copie messe in circolazione e sostenendo che tutti gli errori derivavano "da sbagli degli stampatori e di altre persone (il riferimento a Sisto è inequivocabile). Un'intera truppa di studiosi si sistemò in un'apposito edificio sulle colline Sabine, a 30 km da Roma, e lavorò bestialmente per cercare di identificare e rettificare tutti gli errori commessi da Sisto.


Alla fine del 1592, sotto il papato di Clemente VIII, il "nuovo testo" venne stampato e distribuito immediatamente con una lunga prefazione che spiegava come Sisto, accortosi degli errori, avesse deciso di dare corso ad una nuova riedizione, la quale, in seguito alla sua morte, era stata portata a termine dai suoi successori. Giocando sull'equivoco Bellarmino suggerì anche che la nuova versione (passibile anch'essa di molti errori, che infatti ci sono) non dovesse obbligatoriamente essere l'unica permessa e/o accettata.
I commenti degli studiosi su questa serie di menzogne e falsificazioni miranti a nascondere gli errori e la supponenza del papato, furono e sono pesanti.
Thomas James, studioso e libraio londinese, che potè esaminare e verificare il contenuto di entrambe le versioni, scrisse nel 1611:"Ci troviamo ad avere due papi uno contro l'altro. Sisto contro Clemente , Clemente contro Sisto, litigando, scrivendo e discutendo sulla bibbia di Gerolamo...per quanto concerne i cattolici la Bibbia è come un naso di cera che i papi modellano a seconda di quello che conviene loro...se un papa dicesse che quello che è bianco è nero e quello che è nero bianco nessun cattolico oserebbe contraddirlo."

L'affare del papa che riscrisse la Bibbia dimostra una volta ancora che la dottrina che il papa non può sbagliare è di per se erronea, conduce a creare proprie personali versioni della Storia e costringe anche uomini moralmente corretti, come Bellarmino, a mentire in favore della Chiesa.
Ma Bellarmino invece di essere ricordato per aver messo in atto una discreta "cover up" a favore di Sisto V, è noto soprattutto per aver distrutto vita e carriera di uno straordinario laico, Galileo.



        Di Marco Capurro
        tratto da: VENTI SECOLI DI PAPATO

lunedì 19 dicembre 2011

ALTRE VARIE ERESIE


 Di Marco Capurro

La più continua e persistente mancanza di ortodossia in Roma si verificava nell'ambito sacramentale. In parte questo può essere spiegato con il collasso verificatosi nell'apprendimento con le invasioni barbare. I Greci, infatti, tendevano a considerare Roma come "piena di zotici".

Dall'ottavo secolo in poi alcuni papi annullarono le ordinazioni ecclesiastiche e ri-ordinarono i preti. Tutto ebbe inizio con un antipapa, Costantino II, nell'anno 769, ma , come abbiamo già visto anche tutte le ordinazioni di papa Formoso, il cadavere processato quale eretico, vennero dichiarate invalide.

La domanda che sorge spontanea è : esistono validi sacramenti in una nazione nella quale il clero è stato ordinato da un papa eretico? Sia Stefano VII, sia Sergio III, l'amante di Marozia, stabilirono che le ordinazioni di un papa eretico erano "invalide". La conseguenza , se logicamente seguita, porta a far considerare nulli tutti i sacramenti impartiti da sacerdoti la cui ordinazione era invalida (matrimoni, battesimi, etc.), questione sulla quale però in genere si è sempre glissato.

Alcuni papi stabilirono che quando la simonia entrava in un ordinazione vescovile, la nomina era invalida. Così decise Leone IX (1049-54), che riordinò molti preti. Gregorio VII rinforzò questa convinzione, affermando che quando in una nomina entrava il denaro, la nomina era SEMPRE nulla. Urbano II andò ancora oltre stabilendo che anche se un vescovo non pagava per la sua ordinazione (simonia), se riceveva l'ordinazione (veniva fatto vescovo) da un vescovo che invece aveva pagato, anche la sua ordinazione era nulla. Questa strana, logica, ma eretica interpretazione venne estrinsecata nei decreti di Graziano , non trovando però nessuna rispondenza nella Chiesa d'Oriente, che se ne tenne saggiamente distante.

Nel 1557 Paolo IV , nella sua Bolla Cum ex Apostolatus officio , confermò questa stramba tesi che, se presa sul serio, avrebbe fatto scoppiare la Chiesa ed il suo sistema sacramentale come una bolla di sapone. Per fortuna nessuno pensò seriamente di portare la faccenda alle sue estreme conseguenze.
Decisioni non ortodosse sono quelle assunte da papa Pelagio , che dichiarò che per un valido battesimo è indispensabile l'invocazione della Trinità, (papa Nicola (858-67) per fortuna riaffermò poco dopo che bastava invocare Gesù) , e che la cresima impartita da un semplice sacerdote era nulla (spazzando via d'un colpo tutte le cresime della Chiesa Greca) e mettendo in dubbio anche, a cascata, le comunioni e nomine di preti e vescovi greci.
Stefano II (752) stabilì , contro le tradizioni, che il matrimonio tra un uomo libero ed una schiava, anche se entrambi cristiani, poteva tranquillamente essere sciolto per permettere all'uuomo di risposarsi (una specie di divorzio maschilista ante litteram).
Urbano III dichiarò che un matrimonio tra cristiani, anche se consumato, può essere sciolto. Celestino III (1191-8) , dandoci ancora più dentro, decise che un matrimonio "consumato" e tra cristiani può essere sciolto senza tema se uno dei due coniugi diventa eretico. Questa cazzata venne ripresa anche da Innocenzo III, che a conferma, citò l'assoluta necessità di attenersi al Libro del Deuteronomio alla lettera, dimenticando che il Deuteronomio permette tranquillamente al marito di divorziare.

Anche la comunione ebbe la sua dose di eresie, con papa Nicola II (1059-61) che affermò che nell'eucarestia è "materialmente" possibile toccare con le mani e mordere con i denti il "reale" corpo di Cristo. Quasi come dire che Cristo continuava ad essere torturato dai fedeli anche dopo morto.
Papa Nicola II

Quando Clemente V morì, nel 1314, il conclave ci mise due anni a trovare un successore. Finalmente , disperati, scelsero Giacomo Duèse di Cahors che a Lione, il 7 agosto, divenne pontefice prendendo il nome di Giovanni XXII.
Papa Giovanni XXII

Sembrava la persona più adatta, settantaduenne, piccolo, delicato, di apparenza malaticcia questo figlio di un ciabattino non avrebbe dovuto durare a lungo.
Le cose andarono diversamente.
Giovanni XXII dimostrò di essere duro e resistente, ambizioso, avarissimo, più mondano di un magnaccia e con una risata che scoppiettava con indubitabile malizia. Questo fragile e piccolo mostro avrebbe tenuto duro diciotto tempestosi anni.

Quando assunse la carica il tesoro era completamente vuoto. Clemente V aveva dato via tutto ai suoi parenti. Giovanni rimediò in fretta commerciando in tutto quello che era commerciabile. Vendette tutto ciò che un francese pieno di fantasia può immaginare: il perdono aveva un prezzo qualsiasi fosse stato il crimine. Un tanto per l'assassinio, un tanto per l'incesto o per la sodomia. Peggio i fedeli si comportavano, più ricco diventava il papato. Quando una lista "pirata" dei prezzi venne fatta circolare, si credette che fossero stati i nemici della chiesa a produrla. Era vero, ma i nemici della Chiesa erano il papa e la Curia. Concedevano ai peccatori il diritto di peccare e di evitare le conseguenze dei loro peccati.

La passione del papa per le guerre (italiane) gli faceva spendere grandi somme in armamenti ed eserciti, tanto che un suo contemporaneo disse di lui:" il sangue che il papa ha sparso avrebbe reso rosse anche le acque del Lago di Costanza, e con i corpi di coloro che ha squartato avrebbe potuto costruire un ponte da una sponda all'altra.

Nella sua Bolla Cum inter nonnullos" del 12 novembre 1323, sconfessando quasi tutti i suoi predessori, stabilì che: "sostenere che Cristo e gli Apostoli non avevano proprietà rappresenta una perversione delle Scritture". La povertà gli stava proprio sulle balle, tanto da convincerlo ad assumere anche procedure punitive verso i francescani per farli dichiarare eretici. Ma quest'ultima operazione diede il destro al'imperatore Luigi (Ludovico il Bavaro) di Bavaria di accusarlo di eresia (Ludovico era già incazzato per le pretese del papa di assumere il potere imperiale nel corso degli "interregni"). Lo chiamò "anticristo", lo depose e ne nominò un altro. La scelta dell'imperatore cadde su Piero di Corbario, decrepito francescano che assunse il nome di Nicola V.
Sfortunatamente Nicola risultò essere sposato, con figli e nemmeno prete. Ludovico comunque, pagata la moglie del papa affinché non rompesse, lo tenne sul trono papale fino al 1329, quando si stancò e lo affidò alle mani di Givanni XXII (ritornato papa), purchè promettesse di non trattarlo male. Cosa che , stranamente, nel complesso Giovanni fece, pur tenendolo prigioniero nel palazzo papale di Avignone per tutto il resto della vita.

Alla fin fine Giovanni XXII aveva trionfato: Cristo e gli Apostoli non avevano condotto una vita di povertà, anzi!.

Nel 1331 Giovanni nella chiesa di Notre-Dame des Dome (Avignone) sostenne , dopo aver fatto morire di fame un domenicano che affermava che le anime dei giusti vedono Dio immediatamente, che le anime dei giusti non possono vedere Dio prima della "risurrezione dei corpi" (il giorno del Giudizio Universale).
Sono infatti ancora "sub altare Dei" (sotto l'altare di Dio) e soltanto dopo il Giudizio Universale essi saranno "super" (sopra l'altare di Dio) e potranno vederlo. Nessuno ebbe il coraggio di dirgli che stava commettendo eresia.
Il 5 gennaio 1332 allargò la faccenda all'inferno. Nessuno, egli disse, era ancora all'inferno. Solo alla fine del mondo i dannati sarebbero andati ai loro tormenti.

Per la seconda volta Giovanni venne dichiarato eretico, basandosi sul semplice assunto che se la beata Vergine ed i santi non erano in paradiso a contemplare Dio, come avrebbero potuto intercedere per i viventi. E perché i cristiani avrebbero dovuto pagare il papa per il perdono e le indulgenze quando, alla loro morte, non sarebbero nemmeno andati subito in paradiso?

Giovanni, malgrado tutte le forze in campo contro di lui, continuò a tergiversare fino alla propria morte, il 4 dicembre 1234. Qualche tempo dopo venne pubblicata una Bolla a suo nome, nella quale egli revocava tutte le sue precedenti affermazioni. Nessuno può dire se fosse veramente opera sua, ma quello che è certo è il fatto che il suo successore, Benedetto XII, affermò immediatamente che i santi godono della visione beata subito dopo la morte.

Nel 1572, quando Gregorio XIII divenne papa, il cardinal Montaldo si ritirò a vita privata. Per tutto il periodo successivo fece spargere voci che lo davano in punto di morte. Nelle rare occasioni di riunione con i cardinali egli tossiva continuamente e dava segni di estrema debolezza. Si aggiunse otto anni di età per sembrare più vecchio e decrepito e affettava in pubblico continue dimostrazioni di umile fragilità.

Alla morte di Gregorio, nel 1585, Felice Peretti da Montaldo (il cardinale di cui sopra) si presentò al Conclave, truccato da vecchio, barcollante su un paio di grucce e piegato in due dal peso dell'età. Sembrava un candidato perfetto per il papato ed infatti fu eletto. Dal racconto di Leti, suo biografo, risulta che dopo l'elezione gettò via le grucce e si raddrizzò gridando : "Ora IO sono Cesare".

Ma ne parleremo nel prossimo articolo.







Di Marco Capurro
        tratto da: VENTI SECOLI DI PAPATO

domenica 18 dicembre 2011

L'ERESIA PAPALE

Di Marco Capurro

Intro:

Da tutta questa pappardella e dalle pagine esposte mi sembra emerga evidente l'assoluta fallibilità dei papi (sia che parlino ex cathedra, sia no) e l'assoluta impossibilità di stabilire quando ed in quali condizioni il pontefice abbia titoli per vantare una qualche ragionevole capacità di rappresentare il vero.

"Un gran numero di papi erano (sono) eretici."
Per un cattolico questa frase avrebbe il sapore di una frase ingiuriosa detta da un Protestante. Un papa eretico sembra una "contraddizione in termini", come la quadratura del cerchio.
La citazione non è di un Protestante ma di papa Adriano VI, nel 1523, "Se per Chiesa Romana voi intendete la sua Testa o Pontefice, è fuori di dubbio il fatto che egli possa errare, persino in materia di fede. Egli erra quando insegna l'eresia a proprio giudizio o per decreto. In verità molti pontefici romani erano eretici. L'ultimo di essi fu papa Giovanni XXII° (1316-1334)".
Oggi sembra impossibile discutere sull'infallibilità del pontefice. Così grande è l'aura di questi personaggi che i fedeli, almeno pubblicamente, sembrano essersi bevuti il cervello.


Le differenti versioni della Bibbia

Thomas James, studioso e libraio londinese, che potè esaminare e verificare il contenuto di entrambe le versioni, scrisse nel 1611:"Ci troviamo ad avere due papi uno contro l'altro.
...per quanto concerne i cattolici la Bibbia è come un naso di cera che i papi modellano a seconda di quello che conviene loro...se un papa dicesse che quello che è bianco è nero e quello che è nero bianco nessun cattolico oserebbe contraddirlo."

Bonifacio decise di emettere una Bolla, che in seguito molti avrebbero preferito non avesse mai scritto:"Unam Sanctam" che, tra le altre cose, affermava "Esiste soltanto una santa, cattolica e apostolica chiesa, fuori della quale non esiste salvezza o remissione dei peccati...Colui che nega che la spada temporale è nel potere di Pietro interpreta erroneamente le parole del Signore:"rimetti la tua spada nel fodero".Entrambe le spade, la spirituale e la temporale, sono nella potestà della Chiesa.
Come ultima pennellata aggiunse:"Noi dichiariamo, annunciamo e stabiliamo che è senza dubbio necessario per la salvezza di ogni creatura assoggettarsi al Romano Pontefice".

Uno dei pochi critici severi (di papa Clemente VI) era il Petrarca, avvelenato dal fatto che Benedetto XII a suo tempo aveva voluto sua sorella e se l'era presa corrompendo suo fratello Gerardo.
Descrivendo , anonimamente per non essere bruciato, la corte di Avignone come "la vergogna dell'umanità, un covo di vizi, una fogna dove è raccolta tutta la sporcizia del mondo. Lì Dio viene disprezzato, solo il denaro viene adorato e le leggi di Dio vengono calpestate. Tutto quanto in quel luogo respira menzogna: l'aria, la terra. le abitazioni e, soprattutto, i letti. "

Ci sono state un mucchio di occasioni in cui cattolici hanno detto: il papato ha raggiunto il suo punto più basso, oltre non può scendere. Dante lo disse di Bonifacio VIII, Petrarca del periodo avignonese. Entrambi sbagliavano.

Angelo Corrario, Gregorio XII, veneziano di circa novant'anni, scelto dai romani perché "troppo vecchio per essere corrotto": Il papa provvide a smentirli immediatamente impegnando la sua tiara per pagare i debiti di gioco e vendendo tutto quello che poteva. Sia quello che c'era sia quello che non c'era, arrivando a vendere Roma al Re di Napoli.

Nel 1432, malgrado gli sforzi disperati della Curia per evitarlo, un Concilio di vescovi si tenne a Basilea che decise quanto segue:
Da ora in avanti tutte le nomine ecclesiastiche devono essere eseguite secondo i canoni della Chiesa; tutte le simonie devono cessare. Da ora in avanti tutti i preti, di qualsiasi rango, devono liberarsi delle loro concubine e chiunque non lo faccia entro due mesi, fosse pure il vescovo di Roma (il papa), verrà privato del suo ufficio....l'amministrazione ecclesiastica dovrà cessare di dipendere dal capriccio palale...gli abusi di bandi e scomuniche da parte dei papi dovranno cessare...la curia romana, e cioè i papi, dovranno cessare di chiedere compensi per gli incarichi religiosi...il papa non dovrà pensare alle ricchezze mondane a solo a quelle del mondo che verrà.
Si trattava di roba forte...troppo forte. Il papa regnante, Eugenio IV, convocò un proprio Concilio a Firenze, che stabilì che :"Basilea era un covo di mendicanti,....apostati, ribelli blasfemi, uomini colpevoli di sacrilegio e che, senza eccezione, meritavano di essere cacciati indietro all'inferno al quale  appartenevano."

Nel quindicesimo secolo non una voce si levava in difesa del papato e, con uomini come Francesco della Rovere sul trono, non è difficile immaginare perché.
Francesco divenne Sisto IV nel 1471. Aveva diversi figli, chiamati, secondo il costume dell'epoca, "i nipoti del papa".
Sisto fu anche il primo papa a concedere una licenza "legale" ai bordelli di Roma, che gli portavano trentamila ducati all'anno in imposte, ed a concedere ai preti di tenersi una compagna contro pagamento di un'apposita tassa. Un'altra fonte di guadagno era quella rinveniente dai permessi concessi ai ricchi di consolare certe signore in assenza dei mariti. Ma era nel campo delle indulgenze che Sisto mostrò tutto il suo genio: egli fu infatti il primo che pensò di poterle liberamente applicare ai morti. Questo costituì una illimitata fonte di guadagno alla quale nessuno dei suoi predecessori, neanche i più avidi, aveva mai pensato.
L'invenzione del Purgatorio, del quale non esiste citazione alcuna nelle scritture sacre, era elemento sostanziale di questo fruttuosissimo commercio papale. La semplice riflessione che se il papa può liberare un anima per denaro, la può ben liberare anche senza denaro, se ne può liberare una , le può anche liberare tutte e , se non lo fa, è un mostro tiranno - come giustamente rilevò Simon Fish (A Supplicacyion for the Beggars- 1529) , pareva non venire eseguita da alcuno.

Agli inizi del 1500 c'erano a Roma circa 7.000 prostitute registrate su di una popolazione di 50.000 persone. La sifilide , come disse il sifilitico Benvenuto Cellini, "era frequentissima tra i preti".

Nel milleduecento San Bonaventura, cardinale e generale dei francescani, paragonò Roma alla meretrice dell'Apocalisse, anticipando Lutero di trecento anni. Questa Puttana, egli disse, rende i Re e le nazioni ubriache con la sua puttanaggine. Dichiarò anche di non aver trovato in Roma altro che lussuria e simonia, persino nei gradi più alti della Chiesa. Roma corrompe i prelati, che corrompono i preti, che corrompono il popolo.
Dante spedì all'inferno papa dopo papa e torme di prelati.

La fissazione dell'Inquisizione e i roghi degli eretici erano per Paolo IV l'unica cosa che sembrava veramente stargli a cuore. Persino nei periodi di malattia non rinunciava agli incontri settimanali con gli inquisitori. Un monomaniaco omicida. Quando morì, nel 1559, i romani bruciarono la prigione dell'Inquisizione in Via Ripetta, una folla abbattè la sua statua sul Campidoglio e gli ebrei, che lui perseguitò selvaggiamente, gli misero sul capo un cappello giallo.
Chi lo seguì non sarebbe stato amato di più ed avrebbe peggiorato i suoi errori.
Infatti Paolo IV sapeva quello che faceva quando nominò il domenicano Michele Ghisleri suo Grande Inquisitore e questi, nel 1566, lo sostituì sul trono con il nome di Pio V.

All'epoca di Pio IX lo Stato Vaticano era il retrivo baluardo della repressione. Non c'era libertà di pensiero o di espressione. I libri erano sotto censura. Gli ebrei erano chiusi nei ghetti e la giustizia veniva amministrata a piacimento del clero, con spie, inquisitori, polizia segreta ed esecuzioni anche per reati minori. Era governato da una piccola oligarchia ecclesiastica, corrotta e viziosa e sempre in nome di Sua Santità.
Secondo Lord Macaulay, che visitò i stati pontifici nel 1838 : "...la corruzione infetta tutti i pubblici uffici...Gli Stati del papa sono, credo, quelli governati peggio in tutto il mondo civilizzato; e l'imbecillità della polizia, la venalità dei pubblici impiegati, la desolazione e l'abbandono della campagna, saltano agli occhi persino dei viaggiatori più distratti." .

Nel mercoledì santo del 1715 Clemente XI volle recarsi a Roma, dove, nel giorno seguente in San Pietro, venne letta di fronte alla folla la Bolla, "In Coena Domini", nella quale venivano scomunicati eretici, scismatici, pagani, pirati del Mediterraneo, e tutti coloro che non obbedivano al papa o non gli pagavano le tasse dovute.
Questa Bolla risaliva al 1372. Pio V l'aveva dichiarata legge eterna della Cristianità nel 1568 ed era stata confermata da tutti i papi fino a Clemente XIV° (1769-74), che, senza spiegazione alcuna, l'aveva lasciata cadere.

La decretazione più importante del Primo Concilio Vaticano (1869) fu che il papa non è soltanto un mero supervisore e/o amministratore della Chiesa. Egli possiede "piena e suprema giurisdizione della Chiesa in quelle materie che concernono la disciplina e la direzione della Chiesa sparsa nel mondo". Il potere del papa è assoluto e si estende dappertutto.
In nessuna delle scritture si trovano giustificazioni alla idiota decisione, che ha solo carattere di puro esercizio di potere politico.

Nel 1896 Leone XIII decise che gli ordini anglicani erano invalidi, abolendo tutti i sacramenti di questa confessione religiosa  (cioè: i preti non erano preti, nessuno era assolto dai peccati, quindi tutti  gli inglesi erano condannati alle sofferenze dell'inferno...)










Finale:

D'altra parte l'orrore di un Dio che condanna incolpevoli bambini ed ignari adulti ad un Inferno mostruoso solo perché non battezzati non può essere eguagliato da alcuna azione umana, per quanto terrificante. Sarei propenso a valutare Hitler ed Attila come dei patetici dilettanti di fronte alle crudeltà attribuite dai nostri gentili teologi al Dio padre di nostro Signore Gesù Cristo.

Nello stesso modo la masturbazione è peccato assai più grave dell'adulterio, in quanto più innaturale e non diretta alla procreazione. Un violentatore che indossa un preservativo nello stuprare la sua vittima è più colpevole di uno che non lo usa (si pensi all'aids ed alle donne bosniache)

Bonifacio VIII° (1294-1303) asserì che tutte le creature sono soggette al romano pontefice e che il suo papale potere si estende su TUTTI i matrimoni, anche a quelli tra infedeli, giudei, musulmani o non credenti. Tutti loro sono soggetti al pontefice, che può sciogliere i loro vincoli matrimoniali per la salvezza delle loro anime.

E' così fasullo l'insegnamento che la Chiesa non cambia mai che un cristiano del terzo secolo sarebbe rimasto stupefatto dalle dottrine medioevali in merito, ed un clerico del medioevo dagli odierni insegnamenti.

Il papa e la Chiesa continuano a trattare ogni persona impersonalmente e senza tenere conto delle differenze tra soggetti, sessi, culture ed ambiente.


        Di Marco Capurro
        tratto da: VENTI SECOLI DI PAPATO

giovedì 1 dicembre 2011

COME CONSOLAZIONE IL REGNO DEI CIELI

DECIMO COMANDAMENTO: NON DESIDERARE I BENI DEGLI ALTRI!

un articolo di Nunzio Miccoli 
 
La chiesa cattolica ha modificato il piano dei dieci comandamenti, consegnati da Dio a Mosè sul monte Sinai, abolendo il secondo comandamento che condannava il culto delle immagini e dividendo l'ultimo comandamento in due comandamenti distinti, il nono: "non desiderare la donna d'altri" e il decimo: "non desiderare i beni degli alteri", così ha conservato i comandamenti nel numero di dieci.
Il decimo comandamento, del quale scrivo, per la chiesa non è certo il meno importante, solo accidentalmente appare in fondo alla lista, essa, con la sua manipolazione non si è sentita di stravolgere anche l'ordine dei comandamenti.
Va precisata l'esatta portata del decimo comandamento, in questo soccorre Deuteronomio (5,6-21) il quale afferma che i beni in questione sono: la casa, la terra, gli schiavi, il bestiame ed altro.
Legittimamente noi possiamo inserire nella voce altro: il denaro, i preziosi, i mobili e gli oggetti personali.
E' chiaro che il comandamento ha subito un cambiamento di portata con il trascorrere dei secoli, per esempio il richiamo alla schiavitù è diventato inattuale con la soppressione della stessa.
Con il comandamento la chiesa accusava chi desiderava la roba degli altri d'invidia sociale e consolava gli umili e i poveri ricordando che a loro era riservato il regno dei cieli.
Vale la pena di analizzare quali fossero i beni più a cuore della chiesa, cioè a cosa il divieto si riferisse concretamente nell'animo dei padri della chiesa.
I preziosi non hanno mai avuto grande importanza per il popolo, se tralasciamo l'epoca contemporanea, perché riservati a nobili e clero, il denaro era poco usato in campagna ma usato nel commercio, perché in campagna presso i piccoli contadini vigeva l'autoconsumo e con l'eccedenza prodotta si faceva il baratto; i mobili e gli oggetti personali non erano beni durevoli ed erano deperibili. Il bestiame doveva essere rimpiazzato e in ogni modo non poteva essere considerato un bene eterno.
La stesa casa è un bene stabile riferito alla vita dell'uomo ma non certo un bene eterno, perché richiede manutenzione e perisce con terremoti e guerre, infatti, essa è oggi qualificata dall'economia come bene di consumo durevole.
Alla chiesa, con il decimo comandamento interessava soprattutto difendere la proprietà della terra in mano alla chiesa e ai baroni.
Prima della rivoluzione industriale il bene più alto era la terra, il valore fondamentale ed eterno per generazioni di contadini, infatti, anche se essa dopo mille anni può perire per un processo di desertificazione, appare a generazioni di popolazioni rurali come un bene eterno ed agognato, di fame di terra si nasceva. Non a caso per il controllo della terra i popoli si sono fatta la guerra e per la terra sono scoppiate le rivoluzioni.
La dottrina economica fisiocratica, prima della rivoluzione industriale, considerava l'agricoltura come l'unica vera attività economica alla quale era subordinato anche artigianato e commercio.
I fisiocratici credevano alle virtù benefiche della natura ed esaltavano l'agricoltura e la proprietà privata della terra. Furono fisiocratici Francesco Quesnay (1694-1774) e R.J.Turgot (1727-1781).
Per i fisiocratici la natura aveva un ruolo speciale, essa erra capace di dare sostentamento all'uomo, essi erano sospettosi verso il mercantilismo e consideravano lo sfruttamento della terra come l'unica forma di produzione della ricchezza.
In effetti, ancora oggi, per convenzione, l'agricoltura è definito settore primario dell'economia, anche se nei paesi industrializzati essa produce meno reddito e ha meno occupati dell'industria o del settore terziario dei servizi.
Prima della riforma fondiaria, che in Italia fu attuata ala metà del secolo XX mentre nei paesi sottosviluppati non è stata mai attuata, i comuni contadini, servi o affittuari, al prodotto de loro lavoro dovevano detrarre la rendita o l'affitto, secondo i casi, e le tasse.
I contadini poveri perciò reclamavano la proprietà della terra alla chiesa, che era arrivata, attraverso le sue branchie, a possederne un terzo e ai feudatari o latifondisti, i cosiddetti baroni. I contadini desiderano tuttora, nel terzo mondo, una proprietà diffusa della terra e continuano a lottare contro il latifondo per un reddito maggiore a vantaggio delle loro famiglie. La chiesa in America latina possiede tanta terra e in Asia non sembra esistere la proprietà privata della terra, a tutto vantaggio dell'aristocrazia.
La chiesa a parole ha difeso gli umili e gli oppressi in realtà era con i ricchi, ai poveri prometteva come consolazione il regno dei cieli, quindi si espresse sempre contro la riforma fondiaria e la divisione dei latifondi nel corso dei secoli, in altre parole era concretamente a favore dei ricchi e contro i poveri.
Uscita dalle catacombe ben presto abbandonò il comunismo dei primi cristiani che erano poveri e schiavi e divenne essa stessa latifondista, così dopo pochi secoli, con una politica trasformista, si era riciclata a favore dei ricchi.
Solo per fare un esempio, al tempo di Sant'Agostino (354-430) in Africa settentrionale la rivolta dei donatisti, scomunicati com'eretici, fu una rivolta di contadini poveri contro i proprietari terrieri, le questioni di fede si mischiavano spesso a quelle economiche e sociali. Naturalmente Sant'Agostino difese con risolutezza gli interessi della classe dei possidenti, come anche Eusebio aveva approvato analoga repressione dei contadini da parte di Costantino (274-337).
Fino ai tempi moderni, perfino Leone XIII (1878-103), anche se con l'enciclica: "Rerum novarum" si era pronunciato a favore dei poveri, confidava nei parroci di campagna per contenere le pretese dei contadini poveri che minacciavano di occupare i latifondi.
Vale la pena di ricordare che in Inghilterra al tempo dei Tudor (1485-1603) i piccoli contadini, con una controriforma agraria, furono privati della terra privata e delle terre comuni, anche Stalin tolse la terra ai contadini a favore dello stato, con reazioni negative da parte di questi che furono ostili al suo regime. Insomma è sempre stata forte tra i contadini l'aspirazione alla proprietà della terra.
Mussolini da socialista sapeva tanto bene queste cose che affermava che un giorno i contadini avrebbero travolto i preti che si godevano la terra ipotecando il cielo per gli imbecilli. La chiesa era naturalmente alleata della proprietà fondiaria ed era proprietaria di terre essa stesa.
Per capire quanto grande fosse la fame di terra in passato si ricordi che anche Garibaldi dovette fronteggiare una rivolta contadina che reclamava la terra in Sicilia. Garibaldi in Italia meridionale attaccò la proprietà terriera ecclesiastica ma risparmiò il latifondo dei baroni, così la riforma fondiaria fu varata solo alla metà del XX secolo, favorendo però anche gli speculatori.
Del resto anche Lutero aveva scaricato i contadini, per poter difendere la sua riforma religiosa non poteva mettersi contro i principi che avevano la terra.
In Italia la riforma si fece però, per ostacolarla, gli agrari si opposero ai contadini appoggiandosi al bandito Giuliano e alla mafia.
Negli Stati Uniti all'inizio solo i proprietari di terra avevano diritto al voto e chi non aveva terra non si considerava libero, perché gli americani erano memori del servaggio degli europei legati alla terra e senza proprietà. In America Harlington affermava che il potere seguiva la proprietà della terra, non ignorando che in Europa la terra era appartenuta alla chiesa e all'aristocrazia che avevano il potere.
Thomas Jefferson (1743-1826), autore della dichiarazione d'indipendenza americana, identificava la libertà con la proprietà della terra, anche l'inglese Hilaire Belloc (1870) desiderava la distribuzione della terra per difendere la libertà di tutti.
La chiesa è sempre stata contro la riforma fondiaria, anche perché grande proprietaria tramite i suoi enti religiosi, nel 1936 essa invitò gli spagnoli ad insorgere contro la repubblica che voleva la divisione delle terre, in Spagna i gesuiti erano proprietari di un terzo delle terre.
Ancora oggi in Africa e in America latina un esercito di diseredati invoca la riforma fondiaria. Questi paesi, scarsamente popolati, con una riforma del genere e un aiuto dell'occidente per scavare pozzi e irrigare la terra, potrebbero risolvere i loro problemi alimentari. Però anche in America latina le istituzioni religioso detengono tanta terra.
In Italia, dopo la fine della seconda guerra mondiale, i contadini hanno visto crescere il loro benessere, spesso sono stati accusati di praticare il mercato nero e di sottrarsi agli ammassi, in certi momenti storici può essere stato vero, però sono stati sempre sistematicamente depredati dagli eserciti invasosi che requisivano derrate e dallo stato e dalla chiesa che li tassavano, perciò sono sempre stati poverissimi e sfruttati anche dalle città.
Nei tempi più antichi i contadini, prima di rivendicare la terra, si erano battuti anche per salvaguardare diritti comuni sulla terra, cioè le proprietà comuni dei villaggi, contro gli accaparratori parassiti, costituiti da ecclesiastici, nobili e borghesi.
 
 
LE RIVOLTE CONTADINE
 
 
Ci sono state tante rivolte contadine nella storia, per difendere la terra comune dei villaggi contro gli accaparratori, per sottrarsi agli obblighi feudali, ad imposte e corvée e per attuare, in tempi più moderni, una riforma fondiaria con la distribuzione della terra ai contadini. La storia è fatta di tante storie e qualche verità è sempre perduta, tuttavia bisogna sempre diffidare della storiografia ufficiale.
La storia è stata fatta anche da queste rivolte di contadini che reclamavano diritti sulla terra, i contadini hanno impresso perciò anche un moto alla storia, vale la pena di ricordare che ad Atene Pisistrato s'impadronì del potere appoggiandosi su questi contadini.
In Inghilterra con i Tudor e la riforma ci fu una controriforma agraria che tolse la terra ai contadini. Nel XVI secolo in Europa la maggior parte della terra apparteneva alla nobiltà e alla chiesa, in Inghilterra i contadini proprietari scomparvero per essere sostituiti da braccianti e salariati agricoli, a vantaggio della borghesia e della nobiltà terriera. Nel 1537 ci fu perciò una rivolta dei contadini spossessati, un'altra nel 1547 contro la recinzione, da parte dei nuovi proprietari, delle terre prima comuni. Negli anni 1626-1660 in Inghilterra ci furono rivolte per il libero accesso nelle foreste e nelle paludi, prima comuni, dove i contadini avevano sempre potuto cacciare e pescare. Con la bonifica di queste terre, la scarsità di terreni da pascolo comuni divenne acuta, perciò in Inghilterra, come accadde in Italia con la bonifica delle paludi pontine, gli abitanti delle paludi distrussero dighe e chiuse.
Espropriate le terre ai contadini e ai monasteri, con la riforma protestante nel XVIII secolo, l'Inghilterra poggiava su una base proletaria, il processo della riforma dei Tudor iniziò nel 1535, prima la chiesa nel paese possedeva un terzo della terra, come nel resto d'Europa.
Storicamente i servi della gleba versavano ai feudatari una parte del raccolto e facevano per loro delle corvée o lavori gratuiti, mentre i proprietari di terra hanno pagato una tassa allo stato, anche se gli aristocratici ne furono esentati. La differenza economica tra le due prestazioni in certi momenti storici potrebbe non essere stata notevole, in età moderna si arriverà a pagare contemporaneamente fitti ai proprietari e tasse stato.
Recentemente in Guatemala sono stati sterminati i contadini Maya che reclamavano la terra, la chiesa in Argentina e in Spagna possiede un terzo delle terre, oltre a proprietà edilizie, industriali e bancarie in tutto il mondo che conta. La chiesa, legata ai latifondisti, aveva sterminato nei primi secoli del cristianesimo i donatisti dell'Africa settentrionale che reclamavano le terre de latifondisti cristiani.
Lutero e Garibaldi espropriarono le terre ecclesiastiche ma non quelle dei latifondisti, i contadini delusi alimentarono rivolte contadine. Garibaldi perciò non fu ben visto dai cafoni meridionali, quando faceva requisizione in campagna per approvvigionare i suoi irregolari, i contadini si vendicavano facendo la spia ad austriaci e francesi, tra i garibaldini erano rappresentate tutte le regioni d'Italia e le classi sociali, mancavano solo i contadini.
Invece i contadini erano vicini al re di Napoli, che aveva difeso i loro diritti sulle terre demaniali comuni, contro le mire accaparratrici della borghesia liberale, perciò l'ex re di Napoli riuscì a fomentare la rivolta contadina contro i piemontesi.
Dopo la disfatta di Caporetto, nella prima guerra mondiale, il governo promise la terra ai contadini, ma la promessa poi non fu mantenuta, la riforma fondiaria poteva aspettare e fu attuata solo nel 1950, tutelando però prima gli interessi degli speculatori.
Le terre anticamente erano a gestione comunitaria, il loro uso era regolato da assemblee di villaggio alle quali partecipavano gli anziani, dalle quali nacque il senatus romano, senator viene da senior, anziano, la terra era collettiva del villaggio e non oggetto d'accaparramento, anche perché abbondante, mentre la popolazione era scarsa. Questo terreno pubblico a Roma era chiamato "ager publicus".
Poi si affermò anche la piccola proprietà contadina, accanto alla terra concessa a patrizi e soldati, però spesso i piccoli contadini erano insolventi con gli usurai e così erano espropriati accrescendo il latifondo.
I bottini di guerra, costituiti da terre conquistate, erano divisi, le terre migliori andavano agli speculatori e le peggiori ai veterani. La rivolta degli italici contro Roma fu una rivolta di popoli contadini privati dei loro diritti comuni sulla terra.
A Roma Tiberio e Caio Gracco nel II secolo a.c. cercarono di favorire la formazione della piccola proprietà contadina, Tiberio fissò un limite alla superficie posseduta in 25 ettari, perciò fu assassinato dai latifondisti, Caio ripresentò la riforma e fu costretto a suicidarsi, Livio Druso ci riprovò e fu assassinato nel'82 a.c.
Nel Nord d'Italia i galli furono privati delle terre migliori e, non riuscendo a sopravvivere nei territori in cui furono confinati, razziavano i coloni romani; perciò ci furono campagne militari per punire i ribelli che si concludevano con eccidi e deportazioni di massa. Sembra di leggere la storia dei pellirosse d'America, la storia che si ripete sempre.
Con la caduta dell'impero romano, i germani riportarono in auge la tradizione della terra comunitaria e del consiglio degli anziani, anche presso i germani esisteva la terra concessa agli aristocratici che andò a formare i feudi, quella assegnata ai guerrieri o cavalieri e piccoli appezzamenti privati di contadini. In ogni modo, come a Roma, i quadri dell'esercito erano costituiti da proprietari fondiari.
I Franchi introdussero il feudalesimo trasformando le terre comunitarie e inalienabili in concessione di latifondo per i feudatari, che poi divennero ereditarie, alienabili e frazionabili.
Borghesia e città vivevano parassitariamente sulla campagna che creò le risorse per il successivo sviluppo industriale. Con la vittoria dei guelfi prevalsero i comuni e cessarono le libere comunità agricole, con proprietà a base collettiva.
In campagna crebbe l'accaparramento di terre da parte di nobili ed enti ecclesiastici e i contadini persero indipendenza economica e libertà. Inoltre la chiesa si servì della falsa donazione di Costantino per attribuirsi titoli di proprietà anche sulle terre prima comuni.
La guerra di Carlo Magno (768-814) contro i sassoni fu una guerra contro contadini in armi, con schiere di preti che predicavano e battezzavano, ai sassoni fu imposto di pagare la decima alla chiesa e altre imposte all'imperatore.
Negli anni 1228-1233 i frisoni, guerrieri contadini, si ribellarono distruggendo castelli e monasteri, contro di loro Gregorio XI allestì una crociata e le loro terre furono espropriate. Negli anni 1323-1328 ci una rivolta contadina nelle Fiandre e nel 1336-1339 in Germania meridionale.
Nel 1370 in Abruzzo i pastori si ribellarono contro la borghesia cittadina, a causa delle tasse e perché erano stati privati de pascoli comuni.
Negli anni 1419-1436 ci fu la rivolta degli ussiti che chiedevano anche l'indipendenza della Boemia, contro i contadini ussiti, che volevano un comunismo evangelico come quello delle antiche genti arie, ci fu un'altra crociata.
I contadini molte volte ritenevano che il re fosse in grado di moderare le pretese della nobiltà e della borghesia cittadini, così divennero realisti i vandeani in Francia e i cafoni meridionali in Italia.
I contadini erano soggetti ad imposte, a favore della chiesa e dell'impero, a prestazioni a favore del feudatario, non potevano trasferirsi liberamente, non potevano sposarsi liberamente, non potevano trasmettere liberamente la loro proprietà.
Presso i germani ereditavano la proprietà i primogeniti, come accade in Tirolo con il maso chiuso, presso i romani si seguiva la volontà del testatore perciò dell'eredità beneficiarono anche gli altri figli, con la rivoluzione francese ereditarono di diritto tutti i figli.
Dal 1500 al 1600 in Francia ci furono rivolte contadine contro la nobiltà, il clero, lo stato centralista, contro le imposte, contro le città a favore del localismo. La borghesia cittadina prima si alleò con i contadini, poi a nobiltà e clero contro i contadini. Un giorno i vandeani avrebbero reso la pariglia.
In Russia contro i nobili, vampiri del sangue dei contadini, ci furono rivolte nel 1603, nel 1606, nel 1671 e nel 1707, alle quali parteciparono anche i cosacchi.
Nel 1500 n Italia e in Germania la piccola nobiltà rurale, con un certo senso perché aveva un po' di terra, cioè i cavalieri, era schierata con i contadini contro aristocratici ad alti prelati, grandi proprietari terrieri.
Nel 1524-1526 in Germania ci furono rivolte contadine per la libera elezione dei parroci, per la riforma della giustizia e per la restituzione ai contadini dei terreni comuni. In Turingia Thomas Muntzer affermava che la rivolta era giusta se il potere era ingiusto A Trento i contadini fecero lega con minatori, nobili spiantati e preti spretati, distrussero chiese e chiostri. In Svizzera Ulrich Zwingli ispirò un'altra rivolta contadina e una riforma religiosa.
Nel 1462 ci fu una rivolta contro le angherie del principe vescovo di Salisburgo, furono uccisi frati concubini, furono saccheggiate case di nobili, di borghesi e monasteri. A Trento si voleva togliere il potere temporale al vescovo, alcuni preti si unirono alla rivolta contadina, reclamando gli antichi diritti comuni.
In Tirolo Michael Gaismair mise in piedi una rivolta antiasburgica per un Tirolo indipendente a base multietnica, contro il capitalismo, contro il feudalesimo, a favore dei contadini. Egli era contro usurai e accaparratori, per una giustizia giusta, voleva l'abolizione di padroni e servi. Gaismair abbatté mura di città, castelli e roccaforti.
Così i problemi dei contadini si univano spesso a quelli religiosi e nazionali, anche se c'è chi racconta che la storia è stata fatta solo dai borghesi e dai grandi uomini, in realtà i contadini vi hanno partecipato ma in maniera anonima.
Tra i contadini c'era anche chi voleva abbattere la monarchia ereditaria, per ritornare all'antico sistema germanico del re eletto dal popolo. Così Lutero e la borghesia, intimoriti, si misero a difendere i privilegi feudali, contro le richieste dei contadini.
Nel 1599 in Calabria Tommaso Campanella diresse un'insurrezione, appoggiato da contadini, progettando una repubblica teocratica, basata sul diritto naturale.
All'inizio della rivoluzione francese i contadini erano stati contro la monarchia centralizzatrice e contro l'aristocrazia terriera ed ecclesiastica, poi però la borghesia, una volta impadronitasi del potere, fece incetta di terre e deluse le attese dei contadini che perciò si rivoltarono ad essa, alleandosi con i realisti.
In Tirolo i contadini Schutzen, diretti da con Andrea Hofer, erano per il Kaiser e contro l'oppressione francese, con operazioni di guerriglia misero in scacco le armate napoleoniche, descritte come invincibili dai sacri testi..
Nel 1730, a causa delle tasse, i corsi si ribellarono a Genova, nel 1755 ci fu un'altra rivolta diretta dal contadino Pasquale Paoli che controllava l'isola, egli fece riforme, unificò pesi, misure e la moneta. In queste riforme questo contadino esemplare precedette persino la rivoluzione francese che forse s'ispirò ad esso. Genova cedette la Corsica ai francesi e i contadini corsi si ribellarono ad essi, si avvicinarono ala rivoluzione poi se n'allontanarono, chiedendo l'indipendenza.
Le guerre napoleoniche arricchirono speculatori e fabbricanti d'armi, mentre impoverivano le campagne soggette ad imposte requisizioni. I nuovi proprietari borghesi della terra con i contadini si mostrarono più spietati ed attenti ai loro interessi della precedente nobiltà terriera.
In Italia la repubblica cisalpina ridusse le autonomie dei piccoli comuni ed espropriò i terreni comuni e quelli degli ordini religiosi, a vantaggio della borghesia. Perciò insorsero i contadini a Bergamo, Brescia, Verona, Emilia Romagna e nelle Marche, dappertutto essi tenevano in scacco le truppe napoleoniche.
A Napoli nel 1789 i lazzaroni insorsero contro i giacobini, i lazzaroni erano appoggiati dai cafoni detti anche briganti o sanfedisti. La repressione francese fu violenta e fu appoggiata dai borghesi-galantuomini che volevano impadronirsi dei terreni demaniali comuni, conservati dai Borboni per i contadini, essi erano quanto rimaneva degli antichi terreni comunitari.
In Valdaosta nel 1799, a causa delle imposte, ci fu una rivolta dei contadini e alcuni borghesi illuminati ci lasciarono la pelle, i villici erano arrivati a chiedere l'abolizione dello statuto e le dimissioni del ministro delle finanze al grido: "Viva il re, abbasso il tricolore e abbasso la costituzione".
In Portogallo i francesi furono sbaragliati da guerriglieri contadini che formavano bande partigiane.
Nel 1808 la Baviera, satellite della Francia, ridusse le autonomia locali e chiamò alle armi i tirolesi, ma gli Schutzen disertarono in massa e presero la via delle montagne. Erano diretti da Adreas Hofer e Peter Mayr, due contadini che costrinsero i francesi a ritirarsi dal Tirolo. Hofer appoggiava il Kaiser e diffidava della borghesia cittadina, forse vagheggiò un Tirolo indipendente.
Dopo il 1860 i cafoni meridionali accolsero a fucilate i piemontesi, come avevano fatto con i francesi, perché i borghesi-galantuomini tendevano ad usurpare ai contadini i terreni demaniali che i contadini difendevano in nome degli antichi diritti, per coltivarli, per raccogliere legna e per pascolare gli armenti.
Tra i difensori di Civitella del Tronto c'erano contadini e pastori, nelle campagne c'erano guerriglieri contadini, in diversi paesi meridionali furono massacrati dei liberali.
Dopo la morte di Cavour, nel 1861, la banda di Carmine Crocco raggiunse i duemila uomini e i briganti dell'Irpinia costrinsero i piemontesi a ripiegare. In Abruzzo le bande dei briganti erano ben dirette ed ebbero gran successo.
I piemontesi incontrarono l'odio dei contadini meridionali perché avevano eliminato i diritti comuni, avevano imposto tasse e costrizione obbligatoria. La repressione piemontese fu violenta, Antonio Gramsci nel 1920 scrisse che lo stato italiano aveva messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale, crocifiggendo, squartando e seppellendo vivi i contadini meridionali, chiamandoli briganti.
Come accadde in Vandea e in Italia meridionale, in Unione Sovietica i piccoli contadini, detti kulaki, si opposero ai soviet che volevano collettivizzare la terra e prestarono aiuto alle armate bianche della borghesia, perciò furono sterminati dai bolscevici.
In Transilvania il movimento Kuruk voleva abolire la servitù della gleba e l'indipendenza da Vienna, anch'essi reclamavano gli antichi diritti e la comunità del villaggio. La Transilvania si rivoltò contro le imposizioni fiscali e i diritti feudali del vescovo, nel 1514 i contadini volsero le armi contro nobili ed ecclesiastici, proclamando la repubblica e distruggendo castelli.
Sotto l'imperatore Leopoldo I (1657-1795) i ribelli Kuruk si ribellarono ancora a Vienna, per conseguenza la Transilvania perdette ogni autonomia e i feudi dei nobili ribelli furono concessi a nobili fedeli alla corona.
Nel 1735 ci fu un'altra rivolta in Transilvania, che chiedeva l'abolizione della servitù della gleba, fu repressa e gli Asburgo aumentarono le imposte sulla Transilvania, assieme ai giorni di corvée o lavoro gratuito
Nel 1784 in Ungheria fu soppressa la servitù della gleba ma i nobili si opposero e ne nacque un'altra rivolta contadina, diretta dal contadino Horia, che era anche contro le tasse e a favore d'antichi diritti di pascolo e legnatico. Sembra evidente che non solo il proletariato industriale è capace di fomentare le rivolte.
La rivolta fu stroncata nel 1784 però Giuseppe II abolì la servitù e concesse ai contadini il diritto di sposarsi liberamente, senza l'assenso dei loro padroni, e di fare testamento liberamente..
Nel 1848 la Transilvania fu unità all'Ungheria, però in Ungheria il liberale Kossuth si ribellò a Vienna e i contadini di Transilvania ne approfittarono per ribellarsi alla nobiltà ungherese, occupando terre. In quella occasione un esercito contadino si mise contro i liberali ungheresi di Kossuth.
Agli indiani d'America era sconosciuta la proprietà privata della terra, per loro la terra era proprietà comune della tribù. Bisogna considerare che con la schiavitù non si è padroni di se stessi e si è espropriati sistematicamente della propria proprietà e del proprio lavoro e che gli stati hanno sempre organizzato omicidi di massa, mettendo le mani sulla proprietà di chiunque.
Harlington affermava che si partecipava al potere solo con la proprietà; poiché il potere politico derivava dalla proprietà della terra, bisognava diffondere questa proprietà, perché se il popolo possedeva la terra i nobili non potevano schiavizzarlo.
Il potere e la terra erano appartenuti alla chiesa ed all'aristocrazia e in America e nella Francia repubblicana avevano diritto al voto solo i proprietari di terra, e solo loro potevano essere eletti deputati, perciò Locke difendeva la proprietà, prima della vita e della libertà.
In ogni modo anche in America settentrionale alcune comunità locali nel 1800 sperimentarono la proprietà collettiva della terrea. In ogni modo la proprietà collettiva delle terre, sperimentata da sempre dai contadini, non era statalismo, né nazionalizzazione terriera, ma era solo proprietà comune di villaggio, in un'epoca in cui era riconosciuto il valore delle autonomie locali, più che il valore dello stato.
Nello stato servile alcuni individui sono costretti a lavorare per altri perché privi di proprietà e con le nazionalizzazioni gli uomini spossessati sono costretti a lavorare a favore della nomenclatura statale.
Adamo Smith, per combattere la tendenza dell'uomo a lavorare poco, propose di diffondere la proprietà, il lavoro coattivo e subordinato può essere odioso, la schiavitù è però la condizione peggiore, i pellirosse, perciò, preferirono la morte alla schiavitù.
Nel passato la schiavitù era connessa al diritto penale e al diritto di guerra, come conseguenza di una condanna penale o di una guerra persa, con i beni si perdevano anche i diritti civili e politici. La schiavitù fu abolita intorno all'anno mille e venne reintrodotta surrettiziamente, come surrogato della pena di morte, nel XV secolo per i galeotti condannati ai lavori forzati e per i condannati ai lavori forzati nelle miniere.
I servi della gleba pagavano prestazioni in natura e in secondo tempo in denaro e facevano corvée al feudatario, se proprietari pagavano imposte allo stato e alla chiesa. Paradossalmente i servi della gleba non potevano essere cacciati dalla terra gli affittuari si.
Quando il feudo fu soppresso si trasformò da proprietà limitata in proprietà piena che poteva anche essere venduta. Infatti, il feudo era trasmissibile agli eredi ma era sempre una concessione fatta dall'imperatore o dal re, in teoria revocabile per tradimento, per esempio. I feudatari, cioè, non ne aveva una sovranità illimitata.
Insomma pare che i feudatari si opposero alla soppressione dei feudi ma poi, in certi casi, con la soppressione forse ci guadagnarono, quelli beffati sono sempre i sudditi contribuenti. L'unico rischio era stato per i feudataria quello d perdere, con la soppressione del servitù, gli agricoltori non più vincolati alla terra, ma questo rischio si ridusse con l'incremento della popolazione agricola.
Se la terra è abbondante e gli uomini sono scarsi, abolita la schiavitù o la servitù della gleba è difficile costringere i contadini a fare i salariati, la cosa logica sarebbe una riforma agraria con la divisione delle terre. Purtroppo ancora oggi in America latina e in Africa si reclama ancora una riforma fondiaria e in America latina gran parte della terra appartiene alla chiesa, come in Europa.
Nel 325 d.c. i primi cristiani, già poveri emarginati, erano diventati borghesi urbani mentre i pagani erano contadini, infatti, i donatisti, accusati d'eresia dai cristiani, in Africa settentrionale si ribellarono contro i cristiani latifondisti, difesi da Agostino e Costantino.
I preti, precisamente i membri del basso clero, sono stati figli di contadini trattati dalle chiesa come servi della gleba, infatti, non potevano e non possono sposarsi, devono fare testamento solo a favore della chiesa e non possono facilmente cambiare mestiere, in Italia il concordato non permette ai preti spretati di trovare impiego nella pubblica amministrazione.
Nel V secolo i papi erano i più grandi latifondisti dell'impero romano e iniziarono a creare la più gigantesca macchina per lo sfruttamento che sia mai esistita sulla terra, allungando le mani su tutte e ricchezze della terra.
Eppure i primi cristiani erano vissuti in comunanza di beni e mettevano tutto in comune, in un ideale di povertà e d'amore per il prossimo. Ben presto però nel cristianesimo si prese a difendere la ricchezza definendola benedizione i Dio. Nel 1864 Pio IX, con il Sillabo, definiva comunismo socialismo pestilenze corruttrici e Leone XIII nel 1891, con la Rerum Novarum, dichiarò la proprietà un diritto naturale.
Nella guerra civile di Spagna la chiesa era alleata con la proprietà conservatrice e appoggiò Franco, civiltà cattolica, la rivista dei gesuiti, propagandò apertamente la guerra civile. I grandi della terra, come Costantino il grande che sterminò nemici e parenti ma favorì i dirigenti cristiani, sono stati i più pericolosi criminali, verso i quali la chiesa è stata sempre ben disposto se servivano i suoi interessi. La chiesa si è schierata solo contro gli uomini che ostacolavano i suoi interessi materiali, mondani e politici.
 

Nunzio Miccoli
  
  Bibliografia:
"Difesa della società naturale" di Edmund Burke - Edizioni Liberilibri,
"Il nostro nemico, lo stato" di Albert Jay Nock - Edizioni Liberilibri,
"La tirannia fiscale" di Pascal Salin - Edizioni Liberilibri,
"Lo Stato servile" di Hilaire Belloc - Edizioni Liberilibri,
"Lo stato criminale" di Yves Ternon - Edizione Corbaccio,
"Storia della mafia" d Giuseppe Carlo Marino - Newton Editore,
"Storia d'Italia dal risorgimento ad oggi" di Sergio Romano - Longanesi Editore,
"Garibaldi" di Jasper Ridley - Club degli Editori Milano,
"Rivolte e guerre contadine" di Ciola, Colla, Mutti, Mudry - Edizione Barbarossa,
"Per una nuova libertà" di Murray Rothbard - Edizioni Liberilibri,
"Contro lo statalismo" di Bastiat e Molinari - Edizioni Liberilibri,
"Schiavi" di Pino Arlacchi - Edizioni Rizzoli,
"Verità e menzogne della chiesa cattolica" di Pepe Rodriguez - Editori Riuniti,
"Storia criminale del cristianesimo" di Karlheinz Deschner - Ariele Editore,
"Il gallo cantò ancora" di Karlheinz Deschner - Massari Editore,
"I gesuiti e l'Italia" - di Domenico del Rio - Editore Corbaccio,
"Il manganello e l'aspersorio" - di Ernesto Rossi - Kaos Edizioni.

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