Teoria e pratica dell'omicidio nella Chiesa Cattolica
un articolo di Walter Peruzzi
Anche il neoconvertito Firmico Materno affermò nel 347 che si devono abbattere i templi dei falsi dèi e uccidere gli idolatri, secondo l’insegnamento della Bibbia (3). E la cosa fu messa subito in pratica da vescovi che, come Ambrogio di Milano, assaltarono le sinagoghe, o da vescovi, preti e laici cristiani che distrussero templi pagani e uccisero nel 415 la grande scienziata Ipazia.
Uno dei primi e più significativi massacri avvenne però a Roma fra i partigiani di Damaso I (foto a sinistra, 366-84) e quelli di Ursino, entrambi aspiranti al trono papale. Le due fazioni si scontrarono per tre giorni con morti e feriti. “L’ardore di Damaso e Ursino per occupare la sede episcopale”, scrive lo storico pagano Ammiano Marcellino, “superava qualsiasi ambizione umana….Damaso ebbe la meglio: la vittoria, dopo molti scontri, arrise al suo partito; nella basilica di Sicinnio, dove i cristiani erano riuniti, furono trovati 137 morti…. Non c’è comunque da meravigliarsi, considerando lo splendore di Roma, che un premio così ambito accendesse il desiderio di uomini maliziosi e determinasse le lotte più feroci e ostinate. Una volta raggiunto quel posto, si gode in santa pace della fortuna assicurata dalle donazioni delle matrone, si va in giro in cocchio vestiti elegantemente, si partecipa a banchetti il cui lusso supera quello della tavola imperiale” (4) . Per premio della vittoria conquistata sul campo a prezzo di oltre cento morti, Damaso fu anche fatto santo…
Alla pratica della violenza si accompagna la sua giustificazione: nel V secolo uno dei più grandi padri della Chiesa, Agostino, si richiamò all’esempio delle guerre “intraprese da Mosé”, per elaborare la dottrina della “guerra giusta”. Rovesciando le argomentazioni dei pacifisti cristiani contro la guerra, Agostino sostenne che proprio per mettere fine agli orrori delle guerre si deve… farle e imporre così la pace: “l’umana durezza…. non si scandalizzi delle guerre intraprese da Mosè, poiché seguendo in esse i comandi divini egli non fu crudele ma obbediente, né Dio nell’ordinarle era crudele, bensì ripagava chi meritava secondo i suoi meriti e intimoriva i degni.… Il desiderio di nuocere, la crudeltà della vendetta, l’animo non placato e implacabile, la ferocia della ribellione, la brama di dominare e simili: è questo che a ragione si biasima nelle guerre. È soprattutto per punire a buon diritto simili cose che le guerre vengono intraprese dai buoni, per ordine di Dio o di qualche altro potere legittimo”(5).
Tale ragionamento è fondato sui testi dell’Antico Testamento in cui Dio guida la guerra “santa” di Israele. “Si è spesso attribuita a sant’Agostino l’elaborazione di una dottrina della guerra giusta che si sarebbe in seguito evoluta verso la guerra santa e la crociata.”, scrive Jean Flori. “E’ vero piuttosto l’inverso. Infatti, per provare che malgrado l’atteggiamento pacifista di Gesù e malgrado il Vangelo, Dio non è radicalmente ostile alla violenza armata, sant’Agostino invoca l’Antico Testamento, nel quale le ‘guerre del Padre Eterno’ sono frequenti” (6). In una parola la dottrina della guerra giusta e la sua successiva evoluzione in guerra santa e guerra di conquista riceve legittimità ed esempio dalla prima guerra santa, quella di Israele – raccontata e giustificata da Dio stesso, nella Bibbia.
Anche un altro santo poco posteriore ad Agostino, Cirillo di Alessandria (prima metà V secolo), sulla base dell’Antico Testamento, definì le stragi ”frutti della devozione al Signore” (7). E la dottrina della guerra giusta sarà ripresa da Tommaso d’Aquino e insegnata dalla Chiesa fino ai giorni nostri.
Circa mezzo secolo dopo Leone I Magno (440-61), il papa che secondo la leggenda fermò Attila alle porte di Roma (immagine a sinistra), giustificò un’altra violenza omicida, quella contro gli eretici. Parlando dell’uccisione dell’eretico Priscillano e dei suoi seguaci ad opera dell’imperatore, avvenuta circa un secolo prima, affermò che se la gente si allontana dalla retta via “allora è il potere imperiale che deve intervenire per sopprimere energicamente, come nemici dello stato… coloro che disturbano la pace della fede” (8). Si giustifica così il ricorso allo stato come “braccio secolare” che sarà proprio dell’ Inquisizione e si legittima l’omicidio per motivi di fede.
Né cessarono gli scontri per il soglio papale. Alla morte di Anastasio II, le due fazioni principali di Roma elessero ognuna il proprio vescovo, uno dei quali – Simmaco (498-514) – ebbe la meglio solo dopo prolungati scontri “in un clima da guerra civile che infuria tra disordini e zuffe nelle chiese e per le strade” (9): “un gran numero di preti, diaconi e laici”, scrive Luigi Desanctis, “furono uccisi nella mischia, e ciascuno dei due papi dichiarava santi e martiri coloro che morivano per sostenere lui, e dannati coloro che morivano per il partito opposto. Paolo Diacono e Anastasio bibliotecario dicono che in quella guerra si commisero da una parte e dall’altra atrocità da cannibali; le vergini consacrate a Dio appartenenti a un partito, erano prede dall’altro e sovente esposte integralmente nude alle beffe del popolo e battute con verghe” (10). Alla fine Simmaco diventò papa…e, dopo morto, santo.
Anche altre volte, nel corso del secolo, i papi ricorsero al delitto per assicurarsi il trono. E’ il caso di Vigilio (537-55), che fece deporre Silverio dal generale bizantino Belisario e si fece eleggere papa al suo posto facendo morire per fame nell’isola di Palmaria, come attesta lo stesso Liber pontificalis, il suo predecessore (11). Morì poi a sua volta in modo violento, nel 555, per mano del successore Pelagio I (556-61), almeno secondo voci molto insistenti benché non del tutto certe.
Un altro aspetto visibile già da questi secoli fu la ostilità della Chiesa verso gli omosessuali, che si tradusse in una durissima legislazione dei sovrani cristiani. L’imperatore Giustiniano nel Corpus Iuris Civilis (Novella 141 del 559) fa propria l’interpretazione cattolica secondo cui il peccato di Sodoma, che Dio condanno bruciando la città, sarebbe stato l’omosessualità: “Sappiamo”, scrive, “avendolo appreso dalle Sacre Scritture, quale giusta punizione Iddio abbia inviato a coloro che un tempo abitavano Sodoma, per questo loro ardore di congiungersi, così che fino ad ora quella terra brucia di perpetuo fuoco. Tutti, badando al timor di Dio, devono astenersi da quest’azione scellerata ed empia” per la quale minaccia “le più atroci pene” (12).Qui affiora inoltre la concezione tipica delle società confessionali che considerano reato per lo stato ciò che è peccato per la religione dominante.
Alla legislazione ecclesiastica coeva si ispirarono anche una legge visigotica (13) del VII secolo e le normative (739-41) dell’imperatore d’oriente Leone III, che prevedono la pena di morte per gli omosessuali (eccetto se minori di dodici anni) e “il taglio del membro” per i colpevoli di bestialità (14). E il 16° Concilio di Toledo del 693 anticipò l’inquisizione stabilendo al canone 3 che il sodomita va “escluso da ogni convivenza sociale, frustrato, privato della capigliatura ed esiliato” (15).
Ma è soprattutto con la nascita dello Stato pontificio nel 756 e fino alla caduta del potere temporale dei papi nel 1870, ossia per oltre un millennio, che divenne costante il coinvolgimento del papato, e di molti se non tutti i papi, in guerre, omicidi, stragi, persecuzioni non solo praticate ma giustificate in nome di Dio o come volute da lui.
Evangelizzazione e massacri
Subito dopo la formazione dello Stato pontificio esso fu oggetto di accanite dispute per il controllo del potere: Stefano III (768-72) venne eletto, scrivono Rendina (17) e il cattolico Fabretti (18), dopo una lotta lunga e feroce, con tumulti e delitti a catena.
Alla fine del secolo si delineò anche l’intreccio fra strage e “diritto d’evangelizzazione” col massacro di circa 4.500 sassoni che non volevano convertirsi, da parte di Carlo Magno, incoronato poco dopo imperatore del sacro romano impero. Questo autore di stragi, e per di più bigamo, ma “campione della fede”, fu addirittura fatto santo dall’antipapa Pasquale III nel 1165 per volere del Barbarossa e seguita ad essere ancora oggi venerato, sia pure solo nella diocesi di Aachen.
Il papa che lo incoronò, Leone III, fu al centro di ripetute congiure e costretto alla “purgazione”, ossia a giurare di essere innocente dei crimini che gli venivano attribuiti. Tornato in sella, una prima volta fece commutare la pena di morte in ergastolo per i suoi attentatori. Ma i responsabili di una congiura successiva furono messi a morte: “il papa”, scrive perfino un sito clericale come Santi e beati, “agì di sua propria autorità senza ricorrere al successore dell’imperatore, Ludovico, dimostrando una severità che poco si addiceva al capo spirituale della cristianità” (19). Si tratta di una santo tanto imbarazzante per la Chiesa che nel 1963 la sua festa fu eliminata. Ma continua a essere venerato come santo.
Poco dopo si distinse un altro santo papa, Pasquale I (817-24). Egli entrò in conflitto con l’imperatore Lotario che aveva dato ragione al convento di Farfa contro la Curia romana in una causa per alcune proprietà. Tale contrasto indebolì il papa e spinse i nobili a una rivolta. Ma la Curia reagì duramente e i due capi dei rivoltosi furono arrestati, accecati e decapitati. Il papa negò la sua responsabilità ma si rifiutò di sottostare a un’inchiesta imperiale, essendo secondo lui inammissibile giudicare il primate di Roma. Nello stesso tempo maledisse i giustiziati dichiarandoli colpevoli di alto tradimento (20) e “prese la difesa degli uccisori… sostenendo che di diritto avevano ucciso coloro che si erano macchiati del crimine di lesa maestà” (21).
Papa-guerriero fu Leone IV (847-55), santo (imm. a sinistra). Nell’849 armò e guidò lui stesso una flotta contro i saraceni, invocando Dio per sconfiggere “i nemici della tua chiesa, affinché la vittoria conseguita torni a gloria del tuo santo nome presso tutti i popoli” e assicurando che “qualora uno di voi dovesse perdere la vita… avrà la mercede promessa” (22). Entrato più tardi in contrasto con l’imperatore, perché gli emissari imperiali avevano assassinato un legato pontificio, si recò a Ravenna “dove stavano gli assassini, li arrestò e condotti a Roma furono processati e condannati a morte” (23).
Pochi anni dopo Giovanni VIII (872-82) scomunicò, poi fece acciecare e condurre prigioniero a Roma, il duca di Napoli Sergio II, organizzò leghe, guidò campagne militari uccidendo musulmani e altri nemici. Né si comportò meglio qualche anno più tardi Adriano III (884-85), legato alla fazione del suo predecessore Giovanni VIII, che non esitò a combattere con ferocia la fazione avversa. “Per ordine di Adriano venne acciecato un alto dignitario del Palazzo lateranense”, si legge nella Enciclopedia dei papi. “Ancora per ordine di Adriano una donna dell’aristocrazia romana legata da parentela con i potenti del Laterano, Maria…, subì la pena oltraggiosa di essere tratta nuda a ludibrio e fustigata attraverso tutta Roma” (24). L’autore scrive che Adriano morì poco dopo (ucciso forse dal marito della donna offesa). E fu fatto santo.
Poco dopo di lui, papa Formoso (891-96) fu coinvolto in guerre e intrighi al punto che il suo cadavere fu riesumato e sottoposto a un macabro processo da Stefano VI (896-97), poi riabilitato, poi di nuovo processato da Sergio III (904-11), che strangolò l’antipapa Cristoforo e si fece papa.
Dal 914 al 928 fu papa Giovanni X, amante di Teodora, che conquistò con la violenza l’arcivescovado di Ravenna e guidò leghe militari contro i saraceni. Giovanni XII (955-64), famoso per la sua lussuria, elesse vescovo un suo amante di 10 anni, fu accusato di omicidio e fece una crociata contro i signori di Benevento. Il suo successore Giovanni XIII (965-72), costretto a fuggire da una rivolta, tornato a Roma si abbandonò a sanguinose vendette. Altri papi, nello stesso periodo di massima decadenza, furono a loro volta assassinati, come il papa-mago Silvestro II (999-1003), mentre poco prima di lui Gregorio V (996-99) processò, mutilò e mise alla gogna l’antipapa Giovanni XVI.
Scontri armati portarono al pontificato Benedetto VIII (1012-24) mentre, caso unico nella storia del papato, fu per tre volte papa Benedetto IX, definito ladro e assassino da un altro pontefice, Vittore III. Papa giovanissimo dal 1032 al 1044, Benedetto IX vendette il titolo a Silvestro III che poi rovesciò, tornando papa per 20 giorni (1045). Rivenduto subito dopo il titolo, tornò papa per la terza volta dal 1047 al 1048, forse avvelenando Clemente II. Gli succedette Damaso II, anche lui morto avvelenato, si pensa sempre ad opera dell’infaticabile Benedetto.
Dopo di lui divenne papa un altro santo assassino: Leone IX (immagine sinistra). Noto per l’intolleranza dottrinale e la rivendicazione della supremazia del papato, che provocò lo scisma ancor oggi non sanato con la Chiesa d’oriente, fece ammazzare molte persone nelle battaglie da lui guidate per delle terrene esigenze di espansione territoriale. “Il suo nome da laico era Brunone di Dagsburg”, racconta Borrelli, “negli anni 1025-1026 il giovane canonico si trovò a servire il suo vescovo e il suo imperatore alla testa dei cavalieri germanici, che operavano nelle pianure lombarde. Ciò costituiva sicuro merito per accedere ad un episcopato … Dopo aver trascorso il Natale celebrato a Toul, prese la via per Roma in abito da pellegrino e così, a piedi nudi, entrò nella Città Eterna, accolto favorevolmente da tutti, fu intronizzato il 12 febbraio 1049 prendendo il nome di Leone IX, aveva 47 anni… nel maggio 1053 dovette affrontare, in uno scontro militare, i Normanni che pur essendo cristiani volevano ampliare il loro dominio tra Napoli e Capua. Leone IX come sovrano di Benevento, città concessagli dall’imperatore, dovette affrontarli con poche truppe, fu una disfatta e alla sera fu fatto prigioniero e condotto a Benevento, dove fu trattenuto per oltre otto mesi; alla fine ricevute tutte le soddisfazioni richieste, i Normanni lo lasciarono libero…” (25) Anche lui è venerato come santo ed esempio per i fedeli…
Alessandro II si limitò a benedire numerose guerre, approvando quella intrapresa dal duca normanno Guglielmo per conquistare l’Inghilterra, quella di Roberto il Guiscardo contro gli arabi in Sicilia e i tumulti dei patarini contro i vescovi anticelibatari e simoniaci a Milano. Ma il suo successore, il tirannico Gregorio VII (1073-1085), autore del famoso Dictatus papae e “formidabile organizzatore di eserciti” come lo definisce P. Partner (26), si fece promotore in proprio non solo della lotta per le investiture contro Enrico IV ma delle guerre di liberazione dei cristiani d’Oriente, con un Appello ai fedeli e una successiva Lettera all’imperatore Enrico IV, entrambe del 1074, in cui esprime il desiderio di porsi lui stesso a capo di quanti ”vogliono levarsi in armi contro i nemici di Dio” (27). L’anno dopo, essendo stato costretto a rifugiarsi a Salerno per sfuggire all’imperatore, incita ancora alla guerra promettendo: “Accorrete in aiuto se volete avere remissione dei peccati, benedizione e grazia in questa e nell’altra vita.” (28).
Nelle parole di Gregorio VII c’è il preannuncio della crociata che verrà bandita alla fine del secolo da Urbano II (1088-1099), col celebre discorso di Clermont del 1095 in cui concluse: “Quando andrete all’assalto dei bellicosi nemici, sia questo l’unanime grido di tutti i soldati di Dio: ‘Dio lo vuole! Dio lo vuole!’”: “uccidere era consentito”, nota Partner “con l’autorità di Dio” (29) (immagine a sinistra).
Val la pena di ricordare che Urbano II chiese ai cristiani di combattere e uccidere anche in un’altra occasione, e sempre promettendo ai crociati la remissione dei peccati e la vita eterna: “Per la città e la Chiesa di Taragona [Spagna] vi preghiamo vivamente e vi comandiamo, per la remissione dei vostri peccati, di imporre in tutti i modi il suo ristabilimento [contro gli arabi]…Chi, per amore di Dio e dei suoi fratelli, cade in questa campagna, non dubiti che troverà l’indulgenza… e godrà la vita eterna per la misericordia di Dio” (30). Per tale incitamento alla guerra, o nonostante esso, Urbano fu beatificato, quasi ai giorni nostri, cioè nel 1881, dal papa “progressista” Leone XIII.
Sulla meritoria conquista di Gerusalemme da parte dei crociati impresa e su come riuscisse gradita a Dio, ci informa il cronista Raimondo di Aigiles che scrive il 15 luglio 1099: “Taluni dei nostri uomini…hanno tagliato la testa ai loro nemici. Altri li hanno colpiti con le frecce…Altri ancora li hanno torturati più a lungo gettandoli nelle fiamme. Cumuli di teste, di mani e di piedi si potevano scorgere per le vie della città… nel tempio e nel portico di Salomone gli uomini cavalcavano nel sangue fino alle ginocchia e alle briglie. In verità è un giusto e magnifico giudizio di Dio che questo posto sia colmo del sangue degli infedeli dopo che ha sopportato così a lungo le loro bestemmie. Ora che la città è stata presa, il vedere la devozione dei pellegrini al Santo Sepolcro ci ricompensa di tutte le nostre fatiche e delle pene passate. I pellegrini si rallegrano ed esultano e cantano al Signore il Salmo nono…la nostra fede è rinnovata…in questo giorno l’Eterno si è rivelato al suo popolo e l’ha benedetto” (31).
Si stima che i morti siano stati 60.000, cui devono aggiungersi i caduti nelle battaglie che avevano accompagnato la marcia crociata verso la terra santa, dalle stragi in Ungheria e nella città turca di Nikaia, dove i morti furono complessivamente molte migliaia, compresi vecchi e bambini bruciati vivi, alla conquista di 40 capitali e 200 fortezze fino ad Antiochia, dove caddero da 10.000 a 60.000 musulmani. Sempre il cronista cristiano Raimondo di Aigiles scrive. “Sulle piazze si accumulano i cadaveri a tal punto che, per il tremendo fetore, nessuno poteva resistere a restare: non vi era nessuna via, in città, che fosse sgombra di corpi in decomposizione” (32).
Vittime dei crociati, specie della cosiddetta “crociata dei pezzenti” di Pierre l’Eremite, che aveva preceduto quella regolare, furono anche gli ebrei: “a seguito delle crociate”, scrive Aruffo, “l’antigiudaismo religioso accademico assunse un diffuso carattere popolare. Le inaudite violenze perpetrate contro gli ebrei rientravano nel contesto di fanatismo religioso e nella cornice dell’ostracismo psicologico collettivo, legato al mito della ‘riconquista della terra santa’” (33). Lo stesso Aruffo cita qui ad esempio la strage degli ebrei di Colonia e Magonza nel 1096, riferita dal cronista del tempo Alberto Aix. I massacri che causarono migliaia di vittime ebbero luogo in città diverse. Nelle città attraversate dai crociati, scrive il cronista Frutolf, “essi uccidevano o costringevano al battesimo quel che restava degli empi Ebrei” (34). Solo in Germania furono allora uccisi 50.000 ebrei (35).
“Il 28 giugno 1098”, si legge in Vittime della fede cristiana (tr. Franceschetti), che collaziona varie fonti, “furono ammazzati altri centomila turchi musulmani, donne e bambini compresi. Negli accampamenti turchi – narra il cronista cristiano – i crociati trovarono non solamente ricco bottino, tra cui ‘moltissimi libri in cui erano descritti con esecrandi segni i riti blasfemi di turchi e saraceni’, ma bensì anche ‘donne, bambini, lattanti, parte dei quali trafissero subito, e parte schiacciarono sotto gli zoccoli dei loro cavalli, riempiendo i campi di cadaveri orribilmente lacerati’. [WW 33-35]. Il 12 dicembre 1098, nella conquista della città di Marra (Maraat an-numan), furono ammazzate altre migliaia di infedeli. A causa della carestia che ne seguì, ‘i corpi già maleodoranti dei nemici vennero mangiati dalle schiere cristiane’, come testimonia il cronista cristiano Albert Aquensis [WW 36]…
Nella battaglia di Ascalon (imm. sopra), il 12 agosto 1099, vennero abbattuti 200.000 infedeli…[WW 45]” (36).
Più difficile fornire dati sul numero complessivo delle vittime, che furono certo moltissime: secondo alcuni circa un milione nella I crociata, venti milioni. alla fine delle otto crociate, nel 1291. A giustificazione dei massacri, nota il già citato Partner, si diffuse l’idea, rilevabile anche dal racconto sopra riportato di Raimondo di Aigiles, che si trattasse di una giusta “vendetta” per le offese fatte ai cristiani dai musulmani. “E tra tutti” aggiunge Partner, “era Gesù Cristo colui che più di ogni altri doveva essere vendicato sugli infedeli” (37). Si giustificò così la faida di sangue.
Continuatori della prima crociata o promotori di spedizioni militari contro gli antipapi e contro i Normanni furono Pasquale II, Onorio II, Innocenzo I, Lucio II, Eugenio III, che si succedettero dal 1099 al 1153. Lucio II morì in battaglia; Eugenio III, beato, fallì nel tentativo di organizzare la II crociata, fece imprigionare a vita il predicatore itinerante Eudo de Stella, ritenuto infermo di mente, e condannò al rogo, in quanto sani di mente, i suoi seguaci. Ad Adriano IV (1154-59) si deve invece l’uccisione di Arnaldo da Brescia
La prima accusa in questo senso, scrive Mannucci, viene mossa “nel 1144 a Norwich, in Inghilterra”, dopo che si trovò ucciso un giovane apprendista. “Il secondo caso ha luogo in Germania, nel 1147, e provoca il massacro di alcuni ebrei” (38). Tre anni dopo, a Colonia, un altro ebreo venne accusato di aver profanato un’ostia, altra accusa divenuta poi abituale. 38 ebrei furono processati e uccisi per omicidio rituale a Blois nel 1171; un centinaio a Bray-sur-Siene nel 1191 ecc.
Una cronaca di Riccardo di Deviez racconta che nel 1189, il giorno dell’incoronazione di Riccardo Cuor di Leone in Inghilterra , “nell’ora solenne in cui il Figlio fu immolato al Padre, nella città di Londra si cominciò a immolare gli ebrei al loro padre, il diavolo. E ci volle così tanto tempo per celebrare un così grande sacrificio che l’Olocausto fu terminato soltanto il giorno seguente. Altri centri, altre città del paese imitarono l’atto di fede dei londinesi e mandarono all’inferno, con la stessa devozione, tutte quelle sanguisughe e il sangue di cui si erano rimpinzate”(39). E Philippe Bourdrel scrive, nel XIII secolo, che “A Béziers, la domenica delle Palme, era in uso tirare le pietre agli ebrei e aggredirli, per ‘vendicare il signore’ mentre a Tolosa, il giorno di Pasqua, gli ebrei ricevevano da un notabile della città, che aveva la mano ricoperta di un guanto di ferro, uno schiaffo in pieno viso, per ricordare coloro che oltraggiarono Cristo sul Calvario”(40).
Ma, naturalmente, si tratta solo di alcuni esempi, perché “la storia degli ebrei in Europa”, come scrive E. Saracini, “è tutta costellata di massacri” (41). Persecuzioni, processi ed esecuzioni per omicidio rituale continueranno, fino alle espulsioni degli ebrei da vari paesi europei, fra il XV e il XVII secolo.
Continuavano intanto anche le crociate. All’inizio del XIII secolo Innocenzo III (immagine a sinistra, 1198-1216), scrive Partner, “fece appello ai crociati perché partissero per la nuova missione e vendicassero il male inflitto al padre loro [Cristo]” (42). Si arrivò così nel 1202 alla IV crociata, quella detta dei veneziani poiché fu da loro guidata e dirottata, in funzione dei propri interessi commerciali, su Costantinopoli. Il sacco della città, scrive Runciman, “non ha paralleli nella storia”. Se i veneziani preferirono impadronirsi degli enormi tesori di Costantinopoli, franchi e olandesi, spesso ignari del loro valore, distrussero ciò che non potevano trasportare, “fermandosi soltanto per assassinare e violentare… Molte monache furono violentate nei loro conventi. Palazzi e tuguri furono ugualmente forzati e rovinati. Donne e bambini feriti, giacevano morenti per le strade. Per tre giorni continuarono le orrende scene di saccheggio e spargimento di sangue, finché l’immensa e magnifica città fu ridotta a un macello. Perfino i saraceni sarebbero stati più misericordiosi, esclamò lo storico Niceta, e con ragione” (43).
Si dirà, come sostengono certi apologeti cattolici, che tutto ciò esulava dalle responsabilità dirette di Innocenzo III. Senonché fu proprio lui a scrivere in varie Epistole, a proposito dell’accaduto, celebrato con entusiasmo in tutto l’Occidente, “che egli si rallegrava nel Signore e dava la sua approvazione senza riserve” (44). Innocenzo III, convinto che la presa di Costantinopoli avrebbe messo fine allo scisma del 1054 imponendo alla Chiesa d’Oriente di riunirsi a Roma, arrivò a scrivere che la conquista della città “non è caso fortuito ma un mistero rivelato dall’alto decreto divino nell’opera dei crociati, affinché in futuro possa esistere un solo ovile di Cristo e un solo pastore” (45). Solo anni dopo si rese conto che il sacco dell’antica capitale d’Oriente aveva recato più danni che vantaggi anche alla Chiesa stessa. Ma ciò non fece venir meno in lui la passione per le crociate.
Appena finita l’impresa in Palestina, Innocenzo III volse le sue attenzioni alla Francia e, prendendo pretesto dall’assassinio di un legato pontificio, lanciò nel 1208 la crociata contro gli Albigesi.
“Dovete cercare di annientare la miscredenza eretica in ogni modo e con tutti i mezzi che Dio vi rivelerà”, affermava il papa predicando l’omicidio come dovere di coscienza. “E dovete combattere i suoi seguaci con mano potente e braccio vigoroso e con severità ancora maggiore che se combatteste i Saraceni, perché essi sono peggio dei Saraceni”. E ancora: “Forse fino ad oggi avete combattuto per una gloria passeggera; combattete ora per la gloria eterna!” (46).
Da parte loro i vescovi francesi invocavano dal papa una ancora maggiore determinazione: “Se la perfida città di Tolosa non viene sottratta all’eresia la fatica sarà stata inutile… e per questo vi preghiamo di impugnare la spada affinché la città muoia con tutti i suoi abitanti” (47). Fra i risultati più notevoli dell’impresa fu la strage di Béziers del 1209 dove secondo alcuni i morti furono settantamila, secondo altri oltre centomila, comprese molte donne e bambini.
Ventimila li stima il legato papale Arnaud-Amaury che nella Relazione a Innocenzo III attribuisce a Dio l’impresa: “I nostri, non badando a condizione sociale, a sesso o ad età, passarono a fil di spada circa ventimila persone. E fatta grandissima strage di nemici, fu tutta saccheggiata la città e poi fu bruciata, infierendo contro di lei in modo straordinario l’ira divina” (48).
Alcuni anni dopo Gregorio IX (1227-41) adottò ufficialmente nella Chiesa la pena di morte contro gli eretici, già introdotta nel 1226 da Federico II limitatamente alla Lombardia.
Nel 1233 Gregorio IX lanciava anche una crociata in Germania contro il popolo contadino degli Stedingi. “Armatevi e siate forti, figli, siate pronti alla guerra contro i pagani… Non esitate, non cedete e non temeteli.. Perché non è solo la vostra guerra, ma la guerra di Dio” (50). Quanto al fine omicida di tale guerra lo stesso Gregorio IX lo precisava nella terza bolla del 1233 Contro il popolo degli Stedingi: “[Ho] intimato…di impiegare con energia e con zelo i credenti di Cristo…per sterminare questo popolo senza Dio…. E quei cattolici che si cuciranno addosso il simbolo della croce e partiranno per andare a sterminare gli eretici, godranno della stessa indulgenza e riceveranno le stesse dimostrazioni di favore che vengono date ai crociati che partono per la Terra Santa” (51). Le vittime della crociata furono da 5.000 a 11.000, comprese donne e bambini.
A Gregorio IX si deve anche, sempre nel 1233, la prima bolla (Vox in rama) in cui racconta di osceni convegni fra il diavolo e i suoi neofiti che gli baciano l’ano: alimentava così la credulità popolare circa l’esistenza delle streghe, ponendo le basi per la loro persecuzione.
Nel corso del XIII secolo, poi, mentre si andavano esaurendo le crociate in terra santa, continuarono a operare, conducendo campagne soprattutto nell’Europa orientale, gli ordini cavallereschi nati con l’autorizzazione papale per “difendere” il Santo Sepolcro. Per quanto riguarda i Cavalieri teutonici (imm. sinistra), una bolla di Alessandro IV (1254-61) “basandosi sull’inferiorità dei popoli non cristiani, li autorizzava a conquistare e ‘convertire’ i popoli dell’Oriente europeo” (52), riprendendo quanto già affermato dal suo predecessore Innocenzo IV, secondo cui “l’adorazione degli idoli…va contro la legge naturale ed è perciò soggetta all’intervento papale” e “il papa può ricorrere alla forza per costringere un infedele ad accogliere i cristiani da lui inviati a predicare il Vangelo” (53). Sono così poste le premesse per far rientrare nella guerra giusta e santa le guerre coloniali tese a “evangelizzare” i popoli extraeuropei e per giustificare i genocidi di cui fra poco diremo. Si noti anche che già allora, come fa oggi Benedetto XVI, si giustificava l’intervento del papa in qualsiasi campo dicendo che le opinioni dei cattolici erano conformi al “diritto naturale” e dovevano quindi essere condivise da tutti.
Alessandro IV condannò anche le pratiche magiche, dando argomenti ai primi processi contro le streghe e ai primi roghi, anche se ancora sporadici: nel 1275 in Francia, nel 1296 in Val d’Adige. Mezzo secolo dopo, finite le crociate in Palestina, lo stato della chiesa ribattezzò come “crociate” anche le guerricciole fatte dal papa contro i vari signori italiani per conservare o estendere i suoi territori. Conseguentemente i predicatori erano incaricati di “pubblicizzare l’indulgenza che avrebbe premiato i fedeli qualora avessero partecipato alla campagna” (54). Impossibile calcolare il numero delle vittime di tutte queste imprese guerresche, dalla Polonia alla Lituania all’Italia.
Che fosse doveroso uccidere, quanto oggi è doveroso “difendere la vita dal concepimento alla sua fine naturale”, lo confermavano i massimi dottori della Chiesa. Nel 1128 Bernardo da Chiaravalle scrisse nel De laude novae militiae che “eliminare questi operatori di iniquità [i turchi]che vagheggiano di strappare al popolo cristiano le ricchezze racchiuse in Gerusalemme… ecco la più nobile delle missioni per coloro che hanno abbracciato la professione delle armi… Il Cavaliere del Cristo… quando uccide un malfattore, non è un omicida ma un malicida” (55).
Tommaso d’Aquino scrisse nella Somma teologica (1267-73) che gli eretici “hanno meritato…di essere tolti dal mondo con la morte. Infatti è un delitto molto più grave falsificare la fede, che è la vita dell’anima, che falsificare il denaro, che serve alla vita mondana. Se quindi i falsari o altri malfattori, sono giustamente condannati a morte dai principi, a maggior ragione e con giustizia potrebbero essere non solo scomunicati ma uccisi gli eretici, non appena riconosciuti colpevoli di eresia” (56).
Il dovere di uccidere lo aveva ribadito del resto nel 1233 anche la massima autorità cattolica, Gregorio IX, affermando: “Non è decoroso per la Sede Apostolica astenersi dallo spargimento di sangue mentre l’Ebreo e il Medianita lottano sotto i suoi occhi, potrebbe sembrare, se non intervenisse, che non ha a cuore il popolo d’Israele” (57). E lo stesso Gregorio aveva incitato l’imperatore, che gli pareva troppo tiepido, a uccidere sull’esempio del Dio del Vecchio Testamento: “Dov’è lo zelo di un Mosè, che in un giorno solo annientò ventitremila idolatri? Dov’è lo zelo di un Finees, che con un solo colpo trafisse l’israelita e la madianita? Dov’è lo zelo di un Elia, che uccise con la spada i quattrocentocinquanta profeti di Baal?” (58).
Al contrario era proprio la Chiesa a contrastare con decisione le autorità civili, se manifestavano resistenze e riluttanze a eseguire i suoi ordini. Nel 1237 a Tolosa, ad esempio, i magistrati furono scomunicati per essersi rifiutati di “ricevere” sei condannati, cioè di “arderli” e di confiscare i loro beni. Nel 1288 “Nicolò IV deplorava la negligenza e il malvolere di cui davano segno indubbio, in molte città, le autorità civili, che procuravano di sbarazzarsi dell’esecuzione dei condannati dall’Inquisizione, e stabilì che i colpevoli fossero scomunicati e destituiti dalle cariche…e che venisse lanciato l’interdetto sulle città in cui comandavano” (59).
Nel frattempo, dal 1254, Innocenzo IV (imm.sinistra), con la bolla Ad extirpanda, reiterata dai suoi successori, aveva introdotto anche l’uso della tortura per indurre a confessare gli eretici, con la raccomandazione ipocrita di evitare “loro danni fisici permanenti e il pericolo di morte” (60). Era la stessa ipocrisia di cui la Chiesa dava prova consegnando al braccio secolare gli eretici perché fossero mandati al rogo, con queste parole: “preghiamo questa curia secolare di non giungere nella sua sentenza fino all’effusione del tuo sangue e alla pena di morte” (61). E’ appena il caso di dire che se qualche ingenuo, accogliendo la richiesta, non avesse eseguito la sentenza di morte, sarebbe stato processato a sua volta in quanto sospetto di eresia, come si è visto sopra…
La “santa” Inquisizione durò circa sei secoli, dal XIII all’inizio del XIX secolo (quando Napoleone chiuse i “forni” dell’inquisizione di Siviglia), durante i quali la Chiesa mandò a morte centinaia di migliaia di uomini e di donne, benché sia difficile stabilire il numero esatto delle vittime. Ed è anche fuorviante ritenere questo il primo problema, come se il giudizio sull’inquisizione dipenda dal numero dei roghi e non, almeno in primo luogo, dal fatto che venivano condannati con la morte, o comunque ritenuti “reati”, alla stregua di un furto o di un omicidio, le opinioni non ortodosse in materia di fede.
Al di là dei nudi numeri, difficili da determinare oltretutto perché molti registri di processi andarono distrutti per i più diversi motivi, non ultimo le rivolte popolari, importa qui soprattutto osservare come i papi siano ricorsi in modo sistematico a esecuzioni capitali e guerre per tutto il medioevo. Otto papi su tredici, ad esempio, fra quelli che si succedettero dal 1254 al 1294 (i già citati Innocenzo IV e Alessandro IV, poi Urbano IV, Clemente IV, Gregorio X, Martino IV, Onorio IV, Niccolò IV) inasprirono le misure contro gli eretici e organizzarono o tentarono di organizzare spedizioni militari in terra santa o contro i mongoli, o contro gli ebrei o in Europa orientale o in Sicilia. Né è senza significato che degli altri cinque, quattro non ebbero forse il tempo di farlo, poiché regnarono solo pochi mesi.
Clemente IV (imm.sinistra), in particolare, con la bolla Turbato corde del 1267 ordinò di punire i cristiani che si fossero “rivolti al rito ebraico” e gli ebrei colpevoli di aver cercato di convertire dei cristiani alla loro religione “esecrabile”, ricorrendo “se necessario” al braccio secolare (cioè alla pena di morte).
Fra il XIII e il XIV secolo, anche i gay subirono gli effetti di un generale inasprirsi dell’intolleranza verso le minoranze. Le loro strade cominciarono a incrociare quelle dell’inquisizione. Se la pena del rogo per rapporti omosessuali, inflitta nel 1120 da un concilio provinciale tenutosi a Nablus in Palestina, era in quell’epoca una assoluta eccezione, tra il 1250 e il 1300 “l’omosessualità passò da una condizione di assoluta legalità nella maggior parte d’Europa a una in cui veniva punita con la pena di morte in quasi tutte le compilazioni di legge…. Spesso era prevista la morte per un solo atto provato” (62). Vari stati influenzati dalla condanna cattolica della sodomia (come mostra il fatto che parlino di “peccato” anziché di “reato”) adottarono misure durissime come quelle che si leggono in un editto del re cattolico Alfonso X il saggio (1252-84), re di Castiglia e Leon: “Anche se siamo riluttanti a parlare di qualcosa che è incauto considerare e avventato fare, ciò nondimeno talvolta vengono commessi terribili peccati e capita che un uomo desideri di peccare contro natura con un altro. Perciò noi comandiamo che se qualcuno commette questo peccato, una volta provato, entrambi vengano castrati davanti a tutto il popolo e tre giorni dopo siano appesi per le gambe fino alla morte e i loro corpi non vengano mai deposti” (63). Nel Codice delle leggi ideali dello stesso Alfonso X si legge anche un passo che configura i reati di violenza, ossia di rapporti coatti o con dei minori consenzienti, ipotesi già presente nella legislazione dell’impero d’Oriente: “Tutti possono accusare un uomo che ha commesso un crimine contro natura presso il giudice del distretto in cui il crimine fu commesso. Se provato, i due implicati devono essere messi a morte. Tuttavia, se uno è stato costretto o ha meno di quattordici anni, non bisogna sottoporlo alla stessa pena, perché quelli che sono costretti non sono colpevoli, e i minorenni non capiscono quanto sia grave il crimine da loro commesso”(64).
Nel 1294 divenne papa Bonifacio VIII (1294-1303), assassino del suo mite predecessore Celestino V, la cui abdicazione non gli bastava. Gli succedette Clemente V (1305-14), il primo dei papi avignonesi succubi del re di Francia, cui si deve la persecuzione e messa a morte di Fra Dolcino, arso vivo a Vercelli, e dei dolciniani, ma anche la feroce repressione dei Templari, un potentissimo ordine religioso-militare che si era distinto contro gli infedeli durante le crociate e venne colpito perché il re di Francia intendeva impadronirsi delle loro proprietà e del loro “tesoro” (mai trovato).
Nel 1312, dopo lunghi anni di processi, interrogatori, torture l’ordine fu sciolto con la bolla Vox in excelso. I templari furono accusati e costretti a confessare poco credibili peccati sessuali o di idolatria, grazie a torture che provocarono la morte di circa cinquecento di loro (65). Anche “due dei più alti dignitari templari, Jaques de Molay, il Gran Maestro, e Geoffroi de Charnay, suo immediato sottoposto, furono bruciati a fuoco lento su un’isola della Senna” (immagine sotto) (66).
I due papi seguenti, Giovanni XXII (1316-34) e Benedetto XII (1334-42), si distinsero per la persecuzione dei francescani spirituali, detti fraticelli, che accusavano di corruzione la chiesa e predicavano il ritorno alla povertà: decine furono mandati al rogo e arsi vivi dai due papi. Giovanni XXII fu anche autore della Super illius specula del 1326, che riconfermava la credenza nelle streghe e nei patti col diavolo, e associava la stregoneria all’eresia facendone materia di inquisizione, cioè di consegna al braccio secolare e di condanne al rogo, benché ancora episodiche.
A Clemente VI, che in un primo momento si appoggiò a Cola da Rienzo per il governo di Roma, poi lo imprigionò e lo condannò a morte (sentenza mai eseguita per i potenti appoggi di cui il tribuno godeva), succedette Innocenzo VI (1352-62) “particolarmente duro verso gli spirituali francescani; per suo ordine l’inquisizione mandò molti in prigione o al rogo” (67).
Urbano V (1362-70), nel tentativo di riportare il papato a Roma, piegò militarmente la resistenza di Perugia nel 1370, l’anno stesso in cui decise di rientrare in Francia e morì nel viaggio. Gregorio XI (1370-78), per sedare le rivolte, e spianare la strada al definitivo ritorno dei papi a Roma, lanciò l’interdetto a Firenze e assoldò 10.000 mercenari bretoni che attuarono una violenta repressione da Bologna in giù. Nel 1375 fu schiacciata una rivolta popolare a Perugia; nel 1377 il cardinale Robert, alla testa dei mercenari assoldati dal papa, per “dare una lezione” alla città massacrò quattromila cesenati, meritandosi il soprannome di boia di Cesena.
Fra conflitti e congiure trascorse il pontificato Urbano VI (1378-89), che nel 1385 fece imprigionare e trucidare i cardinali ritenuti responsabili di una congiura ai suoi danni. “Questa severità da monarca assoluto”, scrive il Rendina, “ma certo non propria di un vicario di Cristo… gli alienò l’appoggio di molti cardinali” (68).
Gli succedette Bonifacio IX (1389-1404) sotto il cui pontificato, nel 1391, furono bruciati a Siviglia in una sola notte 4.000 ebrei e nel 1393, in un giorno, 150 valdesi (69). Dopo di lui Innocenzo VII (1404-06) diede mano libera al nipote per assassinare 11 membri di una delegazione inviata dalla Chiesa d’Oriente per cercare di comporre lo scisma.
Nel 1415 il Concilio di Costanza (1414-18), che dovette affrontare il problema dei tre papi al potere contemporaneamente e in lotta fra loro, condannò le dottrine di Giovanni Wicliff (morto nel 1384) e del suo discepolo Giovanni Huss, mandato al rogo nel 1415 così come il suo seguace Girolamo da Praga.
All’umanista Poggiolini si deve una toccante Lettera a Leonardo Bruni del maggio 1416 in cui, trovandosi a Costanza, descrive le condizioni di carcerazione e la morte sul rogo “da filosofo” di Girolamo da Praga.
In modo naturalmente più drastico denunciava il carattere dell’inquisizione Huss stesso, che identifica gli inquisitori e i prelati del suo tempo con gli scribi e farisei che misero a morte Cristo: “I dottori secondo i quali chi è stato punito dalla chiesa e non vuole emendarsi deve essere consegnato al braccio secolare, di certo seguono in ciò i pontefici, gli scribi e i farisei, i quali, poiché Cristo non volle obbedire loro in ogni cosa, lo consegnarono al tribunale secolare, con le parole: Noi non possiamo uccidere alcuno; essi sono più omicidi di Pilato” (70). Ma non per caso la proposizione fu condannata come eretica dalla XV sessione dello stesso Concilio di Costanza.
Promotore di un crociata contro i turchi fu poco dopo Eugenio IV (1431-47), che gestì il tribolato concilio trasferito via via da Basilea a Roma a Firenze.
Gli succedette Niccolò V (imm. sinistra), che cominciò a accreditare l’idea, ribadita mezzo secolo dopo da Alessandro VI, dei papi come “proprietari” dell’orbe terraqueo, che “donano” ai principi cattolici. In particolare ai portoghesi, con la bolla Romanus pontifex del 1454, il papa donò l’Africa e il diritto di muovere guerra agli infedeli, distruggere i loro regni, deportarli schiavi in Europa.: “ricompenseremo con particolari favori e speciali privilegi”, scrive, “quei re e principi cattolici, di cui noi sappiamo per certo che come atleti e intemerati difensori della fede cristiana non solo rintuzzano la ferocia dei Saraceni…ma conquistano regni e territori… e li assoggettano al loro dominio temporale per la difesa e la grandezza della medesima fede”. E ancora: “abbiamo concesso con altre lettere nostre tra le altre cose, piena e completa facoltà al re Alfonso di invadere, ricercare, catturare, conquistare e soggiogare tutti i saraceni e qualsiasi pagano e gli altri nemici di Cristo, ovunque essi vivano, insieme ai loro regni, ducati, principati, signorie, possedimenti e qualsiasi bene, mobile ed immobile, che sia di loro proprietà, e di gettarli in schiavitù perpetua” (71).
L’anno prima, nel 1453, scoperta una congiura per farlo prigioniero e forse ucciderlo, Niccolò V aveva fatto arrestare tutti i congiurati: il capo, Porcari, fu processato per direttissima e condannato a morte insieme ai suoi complici Battista Sciarra e Angiolo Ronconi. “Il papa fu accusato di crudeltà e di essere un fedrifago”, scrive Rendina, “perché corse voce tra il popolo che, in un primo tempo, aveva promesso salva la vita allo Sciarra e al Ronconi, ma poi, ubriaco fradicio al momento dell’esecuzione, non fu in grado di firmare l’atto di grazia” (72). Iniziarono allora le pasquinate, ossia le satire feroci e anonime contro il papa e altri personaggi importanti, spesso in forma di poesia, “appese” alla statua di Pasquino. Quella contro Niccolò recitava: “Da quando è Niccolò papa e assassino/abbonda a Roma il sangue e scarso è il vino” (73).
Dopo di lui, Calisto III alternò al più sfrontato nepotismo l’impegno di indurre i principi cristiani a organizzare una campagna militare contro i turchi, e lo stesso progetto coltivò l’umanista Enea Silvio Piccolomini (Pio II, 1458-64), divenuto papa dopo una giovinezza dissoluta. Promotore di una crociata contro i turchi fu il suo successore Paolo II (1464-71), che si impegnò anche per eliminare una famiglia a lui ostile.
Gli succedette Sisto IV (1471-84), la cui politica fu connotata da guerre, consueti propositi di crociata contro i turchi, sanguinose congiure come quella dei Pazzi in cui morì Giuliano de’ Medici e intrighi d’ogni genere. Nel corso di una sua guerra contro Ferrara, essendo venuto ai ferri corti con i veneziani, il papa ordinò di farli schiavi, sotto pena di scomunica (74).
Sotto il suo pontificato, anche per effetto della predicazione violentemente antisemita di Bernardino da Feltre (santo), si scatenò nella provincia di Trento l’odio popolare contro la comunità ebraica, che fu accusata dell’omicidio rituale di Simone, un bambino trovato morto. 15 ebrei furono torturati per farli confessare e giustiziati. Il papa che in un primo momento, poco convinto di quanto raccontavano le autorità ecclesiastiche locali, aveva promosso un’inchiesta, alla fine la lasciò perdere. Un secolo dopo un altro Sisto, il quinto, dichiarerà Simone santo e martire.
A Sisto IV si deve l’istituzione nel 1478, nel regno di Castiglia, della tristemente famosa inquisizione spagnola. Essa fu da principio diretta soprattutto contro i conversos, cioè gli ebrei convertiti al cristianesimo che, spesso a torto, solo perché attaccati alla loro cultura ebraica, erano accusati di essere segretamente ebrei o “giudaizzanti”. La repressione fu feroce, anche dopo l’espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492, e colpì migliaia di persone dal 1480 al 1525. Molte furono le condanne a morte, in qualche caso motivate con le consuete false accuse di omicidi rituali di bambini cristiani. L’asprezza della repressione è confermata anche dalle cerimonie di riconciliazione imposte ai giudaizzanti pentiti, come quella della domenica 12 febbraio 1486 in cui, racconta il Bennassar, si riconciliarono 750 fra uomini e donne. “Gli uomini tutti insieme, scalzi e senza brache, e per il gran freddo che faceva si permise loro di mettere una suola sotto i piedi purché la parte superiore restasse nuda, tutti con un cero spento in mano…Le donne anch’esse in gruppo, senza sopraveste, con il viso scoperto, scalze come gli uomini, anch’esse con il loro cero” (75). Nel XV secolo l’inquisitore Tomas de Torquemada condannò a morte oltre 10.000 eretici, o ritenuti tali (imm. sotto).
In seguito l’inquisizione, che si protrasse fino all’inizio del XIX secolo, si diresse contro eretici cristiani e poi contro i moriscos, cioè gli arabi musulmani convertiti, rimasti in Spagna dopo la loro espulsione all’inizio del Seicento. Molte migliaia furono le vittime, anche se la distruzione di gran parte degli archivi impedisce un conto preciso. Fra i peggiori crimini dell’inquisizione sono da ricordare “i quemaderos di Siviglia (quattro enormi forni circolari, ognuno dei quali ‘ospitava’ fino a 40 condannati, introdotti vivi e che richiedevano per essere ‘giustiziati’ 20-30 ore di supplizio: i forni funzionarono ininterrottamente per oltre tre secoli e vennero chiusi da Napoleone nel 1808” (76).
L’inquisizione estese la sua attenzione anche a reati comuni o alla sodomia ma, dopo i primi decenni, non fu più riconducibile in senso stretto al papato, poiché vi fu “una subordinazione piena del tribunale dell’inquisizione al potere monarchico, che trova in esso un’eccezionale e insostituibile strumento di controllo ‘poliziesco’ dei sudditi” (77). Nel 1568, ad esempio, l’inquisizione spagnola pronunciò la sentenza di morte per tre milioni di Olandesi che si erano ribellati alla Spagna e che ottennero poi l’indipendenza, e mise a morte 5-6.000 protestanti, annegati dalle truppe spagnole.
Poco prima, l’anno stesso dell’ascesa al pontificato, Innocenzo VIII aveva anche dato inizio con la bolla Summi desiderantes affectibus alla caccia alle streghe che durò per quasi tre secoli e provocò decine, forse centinaia, di migliaia di vittime.
Processi e roghi si erano avuti già prima, come si è detto, verso la fine del XIII secolo, poi nel XIV (fra cui un processo in Piemonte a metà secolo, due donne messe a morte a Milano e una a Parigi nel 1390); e soprattutto nel XV (fra gli altri un processo con 100 torturati e poi arsi vivi a Sion nel 1420; la condanna di Giovanna d’Arco, bruciata come eretica e strega, oggi santa, nel 1431; tre condannati a morte e altri correi da loro denunciati all’inquisizione nel 1459 a Arras, ripetuti roghi di streghe a Como: 300 nel 1416, 60 nel 1484 ecc.).
Ma la caccia crebbe in modo esponenziale con la bolla di Innocenzo VIII, che accreditò le frottole e le superstizioni più incredibili affermando che “in alcune regioni della Germania… parecchie persone di ambo i sessi, immemori della propria salvezza e allontanandosi dalla fede cattolica, non temono di darsi carnalmente ai diavoli… di far deperire e morire la progenie delle donne e degli animali, le messi della terra, le uve delle vigne e i frutti degli alberi, inoltre uomini, donne, bestiame grande e piccolo e d’ogni sorta; e ancora vigneti, giardini, prati, pascoli, biade, cereali, legumi per mezzo di incantesimi, fatture, scongiuri ed altre esecrabili pratiche magiche, eccessi, crimini e delitti; di affliggere e tormentare gli stessi uomini, donne, bestie da soma, bestiame grande e piccolo e animali con crudeli dolori e tormenti interni ed esterni; di impedire agli uomini di generare, alle donne di concepire, e di rendere impossibile al marito e moglie di compiere il loro coniugale dovere”(79).
Il papa incaricava quindi due domenicani, Enrico Insistoris e Giacomo Sprenger, di esercitare l’inquisizione in quelle terre con pieni poteri di “procedere alla correzione, incarcerazione e punizione di quelle persone per gli eccessi e i crimini predetti, in tutto e per tutto… [invocando] ove fosse necessario, l’aiuto del braccio secolare” (80).
I due domenicani, già per loro conto fanatici quanto basta e per di più investiti dal papa di autorità e incoraggiati a usarla “in tutto e per tutto”, tradussero nel Malleus maleficarum (81) le linee-guida della lotta contro la stregoneria ritenuta principalmente femminile. Il libro poté contare anche sull’esplicito riconoscimento dell’università di Colonia, che nel 1487 ne certificò la “conformità dottrinaria alla verità cattolica” e divenne il primo e il più influente dei manuali consimili..La sua diffusione superò quella della Bibbia, la prima opera a stampa, apparsa appena trent’anni prima. “Ebbe tredici edizioni entro il 1520 il Malleus, e altre sedici fra il 1574 e il 1669. Venne tradotto, da latino che era, in tedesco, francese e italiano”, scrive Vanna De Angelis nel suo Il libro nero della caccia alle streghe e aggiunge che alla sua procedura si attennero tutti i giudici “sia nella caccia sia nella persecuzione della strega” (82). Col Malleus e altri manuali consimili come il Compendium maleficarum si diffusero anche credulità, superstizioni e l’odio, al limite del disturbo mentale, per la donna e per il sesso.
Dalla fine del XV secolo alla metà del Settecento si consumò una strage di cui è impossibile dire le dimensioni precise e che sporadicamente continuò anche dopo se si pensa che ancora nel 1828 fu trucidata a Cervarolo, paesino della Val Sesia, perché ritenuta una strega, Margherita Guglielmina, detta la “stria Gatina” (83).
Nonostante i tentativi degli apologeti cattolici di minimizzare i dati della persecuzione, le cifre parziali e certe bastano a dare le dimensioni impressionanti del fenomeno. Lo stesso testo L’Inquisizione, che raccoglie gli atti del convegno organizzato dal Vaticano nel 2004, parla di 3.000 streghe arse vive in soli dieci anni a inizio Cinquecento e di 100.000 processi di stregoneria nel Seicento, conclusi con 50.000 condanne al rogo. Un elenco esemplificativo e incompleto che si trova ne Il libro nero del cristianesimo già citato, registra centinaia di cittadini giustiziati a Mirandola nel 1522-23, 300 streghe bruciate a Como nel 1514 e una media di circa 100 all’anno negli anni successivi, di 400 bruciate in Linguadoca nel 1557, 100 condanne a morte nel 1565-1640 a Parigi; 21 nel 1571 a Genf, 400 nel 1577 a Bordeaux; 368 streghe nel 1587-93 a Treviri; 311 nella regione del Vaud in quegli stessi anni; 13 donne muoiono per le torture in Liguria a Triora nel 1585; una decina di streghe vengono giustiziate per diretto interessamento del cardinale Borromeo (santo) nel 1593 in Val Melsocina ecc. (84). Altri dati si trovano nel libro del Deschner Il gallo cantò ancora e sono relativi a alcune migliaia di vittime, specie nel Seicento in Germania (85). Spesso, come si documenta nel già citato Il libro nero della caccia alla streghe con verbali di interrogatorio reperiti negli archivi, le streghe erano torturate prima di essere uccise o arse vive. I dati come al solito sono forzatamente approssimativi: c’è chi parla di settantamila chi di trecentomila vittime, sempre senza contare quelle dei paesi protestanti.
Le persecuzioni furono costantemente accompagnate da bolle papali, che affermavano l’esistenza delle streghe e giustificavano la necessità di metterle a morte, a partire dalla Cum acceperimus di Alessandro VI del 1501, in cui si denunciavano i “sortilegi” e le “malie” che “distruggono uomini, bestie e campi”, ordinando di procedere più severamente contro i colpevoli, fino alla bolla di Leone X, la Honesti petentium votis del 1521 in cui il papa, nel rinnovare le consuete grottesche accuse contro le streghe che cercano “di uccidere i bambini”, affiancava ai vescovi locali, ritenuti troppo poco severi, “il venerabile fratello vescovo di Pola” per reprimere con maggiore severità gli “incorreggibili affidandoli al braccio secolare” o alla bolla Dudum di Adriano VI del 1523, in cui si spiega che streghe e stregoni “calpestano la santa croce” e “eletto il diavolo a loro signore” danneggiano “le bestie e i frutti della terra”, concludendo che vanno punite dall’inquisizione (86).
Nel 1585 Sisto V, con la bolla Coeli et terrae, reiterata nel 1631 da Urbano VIII con la bolla Inscrutabilis, estese la condanna agli astrologi (87), mentre Gregorio XV, con la Omnipotentis dei del 20 marzo 1623 “fissava la pena capitale per i responsabili di malefici mortali” (88).
Sono papi su cui avremo occasione di tornare in questa rapida storia dell’omicidio nella Chiesa, a cominciare da Alessandro VI (1492-1503), il dissoluto padre di Lucrezia Borgia e del Valentino, coinvolto in guerre, intrighi e omicidi anche privati.
9. Alessandro VI autorizza la “conquista”
Proprio Alessandro VI (imm.sinistra), nella bolla Inter caetera del 1493, all’indomani della scoperta dell’America, assegnò a Spagna e Portogallo tutte le terre “trovate e ancora da trovare”, affermando ipocritamente, come già Niccolò V, che voleva così rispondere al desiderio dei principi cattolici di “guadagnare al culto del nostro Redentore e alla professione della fede cattolica i loro residenti”.E’ soprattutto interessante che Alessandro VI giudichi questa assegnazione un “dono”. Così, in un modo che a dei cristiani dovrebbe sembrare blasfemo, all’immagine del “figlio dell’Uomo” che non ha un giaciglio dove posare il capo si sostituisce quella del papa che si proclama padrone di tutte le terre del mondo “scoperte e da scoprire”, “grazie all’autorità di Dio onnipotente conferitaci in san Pietro e della vicaria di Gesù Cristo” (89), al punto da poterne fare dono a questo o a quel re cattolico, infischiandosene dei legittimi proprietari, ossia dei loro abitanti.
Evangelizzazione e genocidio
Si stabilisce così quel diritto di evangelizzazione, che darà legittimità alla conquista e al genocidio, sanciti dal documento elaborato nel 1513 dai giuristi di corte spagnoli sulla falsariga della visione di Niccolò V e Alessandro VI, ossia il Requerimiento, scritto per essere letto ai nativi via via raggiunti dai conquistatori, al fine di spiegare loro perché dovevano sottomettersi al papa e ai re cattolici, pena gravi castighi: “Vi notifico e faccio sapere come meglio posso che Dio nostro Signore, uno ed eterno, creò il cielo e la terra e un uomo e una donna dei quali noi e voi e e tutti gli uomini del mondo furono e sono discendenti …. Dio nostro signore incaricò di tutte queste genti un solo uomo che fu chiamato San Pietro, perché fosse signore e superiore a tutti gli uomini del mondo, a cui tutti obbedissero e perché fosse capo di tutto il lignaggio umano ovunque gli uomini vivessero e si trovassero, e secondo qualunque legge, setta o credenza, e donò a lui tutto il mondo come suo regno, signoria e giurisdizione. E secondo il suo volere gli comandò di porre il suo trono a Roma, il luogo più adatto per reggere il mondo, ma … giudicare e governare tutte le genti, cristiani, mori, ebrei, pagani e di qualunque altra setta o credo. Ed egli fu chiamato Papa, che significa ammirabile, superiore, padre e protettore, poiché è padre e governatore di tutti gli uomini…
“Per concludere vi prego e chiedo come meglio posso di comprendere bene quanto vi ho detto, di prendere tutto il tempo necessario per comprenderlo e deliberare al riguardo, e di riconoscere come signora suprema nell’universo mondo la Chiesa e il Sommo Pontefice, chiamato Papa, in suo nome, e il Re e la Regina come nostri signori in sua vece, sommi signori e reggenti di queste isole e terre, in virtù della suddetta donazione, e che consentiate e permettiate a questi padri religiosi di comunicarvi e predicarvi i suoi precetti….
“Se invece non accetterete o vi perderete in maliziose dilazioni, vi certifico che con l’aiuto di Dio scaricherò la mia potenza contro di voi e vi farò guerra in ogni luogo e maniera che mi sia possibile, e vi sottometterò al giogo e all’obbedienza della Chiesa e di Loro Altezze, e catturerò voi stessi e le vostre donne e figli e vi farò schiavi e come tali vi venderò; e disporrò di voi come Sua Altezza comandi, e prenderò i vostri beni, e vi causerò tutti i mali e i danni che potrò” (90).
Il diritto naturale alla conquista…
Fra i primi a ridurre in servitù i nativi in nome dei re cattolici e della fede cristiana vi fu lo stesso Colombo, che tracciò la croce su tutte le isole in cui mise piede e attuò una durissima repressione soprattutto sull’isola Hispaniola, dove si parla di 50.000 vittime.
La ferocia del genocidio e le sue dimensioni (molti milioni di vittime) sono troppo note perché qui vi si insista, come sono noti i dissensi che sorsero fra gli stessi cattolici sul modo di procedere nella conquista, che tutti tuttavia in genere rivendicavano come diritto dei cristiani, compreso Bartolomeo de las Casas. Egli infatti si battè in difesa dei nativi americani ma, per alleviare il loro sfruttamento, suggerì di utilizzare mano d’opera importata dall’Africa, favorendo così la tratta degli schiavi… di cui pure furono responsabili molti paesi cattolici anche se non sempre la Chiesa (che in certi casi si oppose a fare schiavi gli indios, ma aveva poi nello Stato della Chiesa schiavi turchi!).
Meno noto è forse un altro argomento a favore della conquista e poi del colonialismo, fatto proprio ancora nel Novecento dall’Osservatore Romano e da Pio XI, come vedremo oltre. Tale argomento fu proposto dal cattolico e santo Tommaso Moro ne L’Utopia del 1516: “se i coloni [di Utopia] incontrano una nazione che respinge le loro leggi scacciano i nativi dal loro territorio con la forza delle armi. Secondo i loro principi la guerra è giusta e ragionevole quando è mossa contro un popolo che possiede immensi terreni non coltivati mantenendoli in condizioni di abbandono, soprattutto se questo popolo impedisce a coloro che giungono di lavorare la terra e trovarvi sostentamento secondo il diritto naturale” (91).
Curiosamente il diritto naturale, che di solito viene invocato per difendere la proprietà privata dei ricchi dagli attacchi degli operai, è qui invocato invece per giustificare l’espropriazione con le armi dei nativi, da parte dei “poveri” europei che ne hanno bisogno per sfamarsi.
10. Chiesa e Riforma
Ad Alessandro VI succedette, dopo il brevissimo pontificato di Pio III, Giulio II (1503-13), più capo militare che “pastore”, le cui guerre e le cui violenze sono note. Il suo bellicismo fu duramente condannato dal filosofo cattolico olandese Erasmo da Rotterdam negli Adagia del 1500: “Cosa c’è in comune fra la mitria e l’elmo, la santa tunica e la corazza di guerra, le benedizioni e i cannoni?”, scriveva Erasmo, “Con quale coraggio si insegna ciò che Cristo ha insegnato…quando poi si sconvolge il mondo nelle tempeste della guerra per ottenere il dominio di una piccola città… tu [Giulio II] che hai condotto alla morte così tante legioni, non hai guadagnato a Cristo una sola anima” (92).Lo Spirito santo non è contro ai roghi
Dopo di lui salì al soglio pontificio Leone X de’ Medici (imm.sinistra, 1513-21), il papa che con la sua raccolta di fondi per la fabbrica di San Pietro e la distribuzione scandalosa delle indulgenze innescò la rivolta di Lutero e la Riforma che divisero l’Europa cristiana. Al centro di intrighi e oggetto di un tentativo di assassinio da parte del cardinale Petrucci e altri, Leone sventò la congiura: “Il Petrucci, arrestato e processato, fu fatto strangolare in Castel S. Angelo il 6 luglio 1517; il de Nini e il Vercelli furono squartati” (93). Inasprì anche la persecuzione delle streghe, decretando, come si è già visto sopra, che nei casi più gravi fossero abbandonate al braccio secolare e infine, nella bolla Exurge del 1520, giustificò l’omicidio per ragioni di fede condannando questa proposizione di Lutero: “È contro la volontà dello Spirito che gli eretici siano bruciati” (94).
Guerre promossero i suoi successori Adriano VI, che aderì alla lega imperiale e tentò di organizzare una crociata antiturca, e Clemente VII.
Inizia l’inquisizione romana
Con Paolo III (1534-49) e fino a tutto il Seicento si susseguirono ventitré papi tutti coinvolti nella repressione sanguinosa delle eresie o in spedizioni militari, nel contesto dell’offensiva antiprotestante, eccetto tre (Marcello II, Urbano VII, Leone XI), che regnarono pochi giorni ognuno.
Paolo III, tre anni prima di aprire il Concilio di Trento (1545-63), costituì e organizzò con la bolla Ab initio l’inquisizione romana. Durante il suo pontificato furono decine gli eretici mandati al rogo, protestanti o valdesi (fra cui un loro esponente di rilievo come il Gonin), ma continuò soprattutto la repressione di massa dei valdesi, che nel 1532 avevano aderito alla Riforma. La crociata antieretica colpì le colonie valdesi della Provenza. Nel 1545 le truppe francesi, d’intesa con l’armata del papa che muoveva dalla vicina Avignone, strinsero in una morsa il borgo di Mérindol. “Il paese è devastato da bande di mercenari assoldati, i villaggi sono distrutti, pochi riescono a fuggire in Svizzera o in Piemonte; per gli altri non c’è che la morte o il triste destino di remare sino all’esaurimento sulle galere reali”. (94).
Dal 1550 al 1555 fu papa Giulio III, nepotista senza scrupoli, amante di rappresentazioni piccanti e lauti banchetti, che fece cardinale un probabile figlio. Condusse azioni militari contro Parma e Faenza, inasprì l’inquisizione che fece anche durante il suo pontificato numerose vittime e grazie al tradimento del pentito Pietro Manelfi potè distruggere gli anabattisti in Italia. Nello stato pontificio perseguì i bestemmiatori con pene severe e di classe, che andavano dalle multe per i nobili alla trafittura della lingua per i poveracci che non potevano pagare (95).
Il terribile Carafa e il futuro Pio V
Ma la repressione dell’eresia raggiunse il suo culmine con Paolo IV Carafa (imm.sinistra,1555-59), che nominò grande inquisitore Michele Ghisleri, detto dalla sua città d’origine l’Alessandrino, il futuro Pio V. Nel 1556, ad Ancona, furono mandati a morte 25 marrani (ebrei convertiti al cristianesimo).
Uno dei documenti più significativi del tempo, che fa comprendere come la Chiesa proclamasse senza alcun pudore il diritto a servirsi contro gli eretici della tortura fino alla morte, mettendo da parte ogni scrupolo, è il Decreta 1 del Santo Ufficio. Emanato da Paolo IV nel 1557, abbandona l’ipocrita raccomandazione di Innocenzo IV a evitare ai torturati “danni fisici permanenti e il pericolo di morte” e concede una vera e propria licenza di torturare e uccidere: “Poiché è frequente il caso che intervengano alle sedute della Congregazione in materia di eresia, che avvengono alla Nostra presenza, vari chierici, secolari o religiosi… e spesso può accadere che… abbiano pronunciato un voto o un giudizio che abbia causato la mutilazione di un membro del corpo o versamento di sangue fino alla morte naturale o che ne sia seguita, o siano pronti a pronunciarlo; Noi, volendo favorire la sicurezza e la tranquillità della loro mente e della loro coscienza, diamo licenza e facoltà ai suddetti chierici di emettere voti e sentenze che non solo comportino interrogatori e torture nei confronti dei rei … ma anche [per] una pena appropriata e una condanna fino alla mutilazione o al versamento di sangue fino alla morte naturale inclusa, senza per questo incorrere in censura o in irregolarità; e, oltre a ciò, se fossero incorsi in qualche irregolarità, li dispensiamo” (96).
Numerosi furono gli eretici mandati al rogo. Paolo IV si distinse inoltre per le campagne militari condotte, in alleanza con la Francia, contro l’impero. Spietato, e segnato da molte esecuzioni capitali, fu anche il suo governo dello stato pontificio. Il che spiega l’odio popolare esploso alla sua morte e che costrinse a seppellirlo nascostamente nei sotterranei vaticani.
La distruzione dei valdesi di Calabria
Ostile ai Carafa, cioè ai parenti di Paolo IV, fu il papa che gli succedette, Pio IV (1559-65), che in parte mitigò l’inquisizione, ma non pose fine alle esecuzioni degli eretici né alle pratiche omicide. I nipoti di Paolo IV, corrotti e responsabili di vari delitti, furono processati e condannati a morte, con l’eccezione del più giovane cardinale Alfonso, che ebbe la grazia. Sul patibolo finirono nel 1565 anche un esaltato che aveva progettato di eliminare Pio IV e i complici. Ma soprattutto, negli anni in cui regnò Pio IV, si ebbe la sanguinosa repressione dei molti valdesi che da tempo, per sottrarsi alle persecuzioni in Piemonte, si erano trasferiti e vivevano pacificamente in Calabria, con la tacita complicità dei poteri feudali e anche di quelli ecclesiastici.. Tale silenzio fu rotto dalla vivace predicazione di due valdesi inviati da Ginevra, il maestro Giacomo Bonelli e il ministro Gian Luigi Pascale. Morto sul rogo a Palermo il primo, impiccato a Roma, dopo vari processi a Cosenza e Napoli, il secondo, il terribile Ghisleri inviò nel 1560 degli inquisitori a indagare sulla situazione esistente in Calabria: “a Cosenza”, scrive Tourn, “iniziano gli interrogatori con l’inevitabile seguito di torture, delazioni, ammende:..lentamente il terrore si sparge nelle campagne. Gli abitanti delle zone valdesi abbandonano i villaggi e si rifugiano nei boschi e sulle alture” (97). Ma nel corso di un’operazione di rastrellamento alcuni reagiscono, ricacciando la spedizione punitiva, che lascia sul terreno non pochi morti. La reazione è terribile.
Nel 1561, con l’aiuto del vicerè di Napoli, le truppe papali ottengono la resa dei valdesi che si consegnano alle autorità. “Il 5 giugno S. Sisto con i suoi 6.000 abitanti, viene dato alle fiamme; Guardia Piemontese, conquistata poco dopo a tradimento…viene distrutta. I prigionieri sono arsi come torce, venduti schiavi ai mori, condannati a morire d’inedia nelle fosse di Cosenza. La repressione giunge al suo culmine nel massacro di Montaltro Uffugo, l’11 giugno, che un testimone oculare descrive in termini raccapriccianti: sulla scalinata della chiesa parrocchiale vennero scannati, come animali da macello, 88 valdesi, uno dopo l’altro, in un lago di sangue” (98).
11. Il più santo, il più assassino: Pio V
La strage dei valdesi di Calabria fu solo l’inizio per il Ghisleri, rappresentante dell’ala più intransigente dell’inquisizione romana. Le cose andarono anche peggio dal 1566, quando egli divenne papa Pio V (imm.sotto, 1566-72), come si può ricavare perfino dai racconti di storici cattolici, o addirittura clericali.Contro eretici, gay e bestemmiatori
“Nella severità contro la bestemmia, l’immoralità, la violazione dei giorni festivi”, scrive la cattolicissima Storia della Chiesa diretta da Jardin, “ed anche nello zelo inquisitoriale egli non rimase addietro a papa Carafa. Lo si tacciava di voler trasformare Roma in un convento; le condanne dell’Inquisizione venivano notificate ed eseguite con pubblici autodafè…[82 processi solo a Venezia]. Nell’insieme tali provvedimenti repressivi sono tuttavia ben superati dal positivo lavoro costruttivo” (99) fra cui lo storico elenca la pubblicazione del catechismo, del breviario e del messale…
Difficile credere che queste opere “pie” bastino a cancellare l’empietà delle violenze, fra cui la trafittura della lingua e le galere per la bestemmia, o la decapitazione e il rogo per gli eretici (fra gli altri i protonotari apostolici Antonio Paleario e Pietro Carnesecchi, fattisi protestanti, o Nicolò Franco, editore e autore degli “avvisi”, antenati del nostro giornale), senza contare i murati vivi.
In quegli anni giunse al suo apice anche la repressione dei gay con le bolle Cum Primum (1566) e Horrendum illud scelus (1568). Per la prima volta si stabilì un rapporto diretto, come per gli eretici, fra le condanne dei tribunali ecclesiastici e la consegna dei condannati al braccio secolare, che di fatto, come sappiamo, significava fin dall’età di Gregorio IX esecuzione capitale.
E’ un altro esempio di come il papa abbia giustificato e “insegnato” il ricorso alla pena di morte. Ed è in applicazione di queste delibere di Pio V, valide non solo per lo stato della Chiesa ma anche per gli altri stati italiani, che Venezia diede a sua volta corso a processi ed esecuzioni capitali fino a quella di cui sarà vittima, nella seconda metà del Seicento, il priore e lettore di filosofia Antonio Rocco, autore del “libro turpe” L’Alcibiade fanciullo a scola, che racconta l’iniziazione di Alcibiade alla pederastia. Così giustificava una condanna al rogo la inquisizione veneziana: “Con ardentissimo foco sopra la piazza piena di moltitudine ha da bruciare lo peccatore nemico scelleratissimo del nostro Signor Jesus Cristo, come lo Santo Papa Pio V disse a noi di facere” (100).
Nello stato della chiesa, Pio V inasprì le pene comminate da Giulio III per chi bestemmiava e le estese a chi profanava la domenica, sempre con criteri di classe: “Un uomo del popolo”, scrive Ranke “il quale non possa pagare, per la prima volta deve stare un giorno davanti alle porte della chiesa con le mani legate dietro la schiena; per la seconda volta deve essere portato per la città e fustigato; per la terza volta, gli sia forata la lingua e sia mandato alle galere” (101).
Le imprese militari, Lepanto, il ghetto
Altre note azioni criminali, stragi e guerre, ammantate di cristiana pietà, ci narra Fabio Arduino, nel sito clericale già prima citato Santi e beati: “Pio V agiva con grande energia sul fronte della difesa della purezza della fede… Inviò in Francia proprie milizie contro gli Ugonotti tollerati dalla regina Caterina de’ Medici. Il re spagnolo Filippo II fu esortato da Pio V a reprimere il fanatismo anabattista nei Paesi Bassi….Per stornare la perpetua minaccia che i Turchi costituivano contro il mondo cristiano, il santo papa s’impegnò tenacemente per organizzare un lega di principi (Lepanto)”. Né sarà da trascurare che questo santo papa, scrive sempre Arduino, “per sottrarre i cattolici alle usure degli ebrei favorì i cosiddetti Monti di Pietà, relegando gli ebrei in appositi quartieri della città” (102), ossia nel ghetto…
La sua carità cristiana si espresse al meglio, quasi sul finire del pontificato e della vita, nella Lettera del 1570 al re cattolico Filippo II cui raccomandava: “[con gli eretici] riconciliarsi mai; non mai pietà; sterminate chi si sottomette e sterminate chi resiste; perseguitate a oltranza, uccidete, ardete, tutto vada a fuoco e a sangue purché sia vendicato il Signore” (103). E’ questo autore e mandante di omicidi e stragi che ancora oggigiorno la Chiesa, dopo averne recentemente ripristinato il vecchio Messale in latino, addita quale esempio ai fedeli, venerandolo come santo.
Un degno successore
Sulla linea di Pio V si mosse il successore Gregorio XIII (imm.sinistra, 1572-85), sotto il cui pontificato numerosi furono gli eretici e gli ebrei mandati al rogo. Egli partecipò anche alla lega antiturca e teorizzò l’omicidio politico (per ragioni di fede) facendo scrivere dal suo segretario di stato al nunzio pontificio in Spagna a proposito della regina d’Inghilterra Elisabetta I: “Chiunque la toglie dal mondo al debito fine del servizio di Dio, non solo non pecca ma si acquista merito, soprattutto tenendo conto della sentenza lanciata contro di lei da Pio V” (104).
A Gregorio XIII si deve anche un ulteriore inasprimento del giudizio sugli ebrei e della repressione contro di loro con la bolla De judaeorum del 1581, con la quale si assimila l’ebraismo a stregonerie, commerci col diavolo, insulti alla religione cristiana, includendolo nella “perversione eretica” su cui è competente a indagare l’inquisizione, con l’autorizzazione a procedere “come nelle cause della fede”, che sappiamo prevedere il rogo anche se qui si parla solo di pene più lievi quali fustigazioni, galera perpetua ecc. (105).
La notte di San Bartolomeo
Ma Gregorio XIII è noto soprattutto per un evento di dieci anni prima, la notte di San Bartolomeo del
1572, quando 10.000 ugonotti furono trucidati a tradimento in Francia dai cattolici.
Il papa – “male informato sulla dinamica dei fatti” (secondo apologeti clericali come Vittorio Messori), cioè credendo che fosse stato sventato un attentato ai reali di Francia – fece celebrare un Te Deum di ringraziamento così però narrato perfino sul sito ufficiale del Vaticano da Vittorino Grossi: “Sotto il pontificato di Gregorio XIII si ebbe la ‘notte di San Bartolomeo’… vale a dire la strage dei capi anticattolici (gli Ugonotti) a motivo dello sposalizio tra Enrico di Navarra dei Borboni, già capo degli Ugonotti, e Margherita di Valois, sorella del re di Francia. Ciò fu motivo in Francia di lotta di supremazia tra il cattolicesimo e il protestantesimo. La vittoria cattolica si concluse con il ringraziamento del papa nella chiesa nazionale di san Luigi dei Francesi”(106).
Del resto non sembra che in seguito, pur avendo il tempo di prendere opportune informazioni, il papa abbia cambiato avviso se è vero che, dopo aver festeggiato “con luminarie e tridui” lo scampato pericolo per la monarchia francese, “fece coniare una medaglia commemorativa dell’avvenimento, dando inoltre incarico al Vasari di affrescare nella sala Regia del Vaticano, insieme alla Battaglia di Lepanto, anche la notte di S. Bartolomeo” (107) e, inoltre, temendo una riconciliazione fra cattolici e ugonotti, scrisse una lettera al nunzio apostolico in Francia cardinal Orsini invitandolo a raccomandare al re di Francia Carlo IX, responsabile della strage di San Bartolomeo “che insistesse fortemente perché la cura così bene cominciata co’ rimedi bruschi non guastasse con importuna umanità”(108).
12. Sisto V: “le esecuzioni mi mettono appetito”
Nel 1585 salì sul trono di Pietro Sisto V (imm.sinistra, 1585-90) che si meritò di passare in proverbio come papa “tosto” che “non la perdona neppure a Cristo” perché un giorno spaccò con una scure un crocifisso che le dicerie volevano “piangesse sangue” per mostrare il trucco, ossia le spugne intrise di sangue poste al suo interno (109).Esecuzioni capitali a pioggia
Questo papa cui, come egli stesso ebbe a dire, le esecuzioni capitali mettevano appetito, in appena cinque anni di pontificato ne combinò “di tutti i colori”, tanto che lo storico von Pastor si è lamentato perché non gli è stato attribuito il titolo di “Magno”. E grande fu davvero, sia nel rafforzamento dello stato pontificio, che trasformò in un vero e proprio stato di polizia, sia nella lotta spietata contro i briganti, che colpì con la pena capitale, sia nella pratica su larga scala dell’omicidio.
Il giorno stesso della sua incoronazione, racconta Ranke, nonostante molte richieste di grazia, fece impiccare e appendere vicino al ponte di Castel S. Angelo quattro giovani che portavano un tipo di fucile vietato e poco dopo, sordo a ogni supplica, fece giustiziare un giovane ancora fanciullo, reo di aver resistito “agli sbirri che gli volevano togliere un asino” (110).
Sorte ancora peggiore toccò due anni dopo ad Annibale Cappello, “scomunicato da Sua Santità”, informa un foglio di Avvisi del 23 ottobre 1587, “per aver scritto a diversi principi contro ogni dovere et giustizia cose poco lecite di questa corte [papale]” (111). Il 14 novembre 1587 gli Avvisi di Roma ci dicono che giustizia è stata fatta: “Hier sera fu degradato in S. Salvatore del Lauro quel don Annibale Cappello, et questa mattina è stato condotto al luogo solito della giustizia in Ponte, dove prima li è stato mozza una mano, tagliato la lingua et impiccato”(112).
Pena di morte per aborto, adulterio, contraccettivi
Con la stessa inumana inflessibilità Sisto decretò che la pena di morte fosse estesa all’aborto (trattato come omicidio fin dal momento del concepimento benché allora l’aborto fosse ritenuto omicidio solo dopo ottanta giorni dal concepimento). Estese inoltre la pena capitale anche all’adulterio (bolla De temeraria tori separatione del 1586), all’incesto (Motu proprio sui casi di incesto nello stato della Chiesa del 1587)e perfino all’uso di contraccettivi (bolla Effraenatam del 1588).Tuttavia, in un’epoca di imperante maschilismo, Sisto si mostrò rispettoso delle “pari opportunità”, applicando equamente la pena di morte sia alle donne che agli uomini colpevoli dei succitati reati…
Numerosi ovviamente i roghi contro gli eretici oltre che le condanne a morte (con la forca, che non volle sostituita dalla mannaia) per reati comuni.
Le “voci bianche” lodano meglio il Signore
Sisto V inoltre, come scrive Uta Heinemann, favorì la diffusione della castrazione “quando nel 1588 proibì alle donne, alle quali già dal IV secolo era proibito di cantare in chiesa, di esibirsi anche nei teatri pubblici e lirici di Roma e degli Stati della chiesa” (113). I castrati, usati come cantori in chiesa da vari secoli nella chiesa greca, erano entrati da poco in quella occidentale, a partire dalla Spagna e uno di loro (lo spagnolo Francesco Soto) era entrato dal 1562 nel coro della Cappella Sistina. Ma solo dopo il decreto sistino del 1588 l’uso si diffuse e la castrazione, pur condannata dalla Chiesa fin dal IV secolo, fu tollerata o addirittura incoraggiata anche da vari teologi. Il gesuita siciliano Tamburini, ad esempio, la sosteneva perché così sarebbe stata “più dolce da ascoltare la lode di Dio” (114).
La responsabilità papale in questa mutilazione, che la dottrina cattolica equiparava all’omicidio o al suicidio (se autoinflitta), è indubbia. “I papi”, scrisse nel 1936 il gesuita Peter Browe, “sono stati proprio i primi che alla fine del XVI secolo hanno introdotto o tollerato nelle loro cappelle i castrati… ancora sconosciuti nei teatri e nelle altre chiese italiane” (115). “Nella cappella Sistina”, scrive Deschner, “per secoli hanno cantato con giubilo i castrati: fino al 1920! Non meno di trentadue ‘Santi Padri’…permisero senza scrupoli tale mutilazione” (116). In realtà 35, se si conta a dal 1562 (da Pio IV a Benedetto XV). “L’ultimo castrato della basilica di S. Pietro morì nel 1924” (117).
Seicento. Sangue, ancora sangue
Anche morto Sisto V, l’omicidio continuò ad essere di casa nello stato pontificio per tutto il Seicento, soprattutto attraverso la partecipazione dei vari papi a spedizioni militari e imprese guerresche, o alla inflessibile repressione dell’eresia. Gregorio XIV (1590-91), papa per un anno, mandò un esercito mercenario contro la Francia. Il successore Innocenzo X (1591), eletto già vecchio e quasi morente, non smise di incitare, dal letto in cui giaceva, alla guerra contro il re di Francia. Clemente VIII (1592-1605), oltre ad accentuare la repressione antiebraica, condannò a morte molti eretici. Gli sfuggì, dopo anni di dura carcerazione, simulando la pazzia, il filosofo Tommaso Campanella, ma non si salvò Giordano Bruno, che fu mandato al rogo con la lingua inchiavardata perché non profferisse bestemmie. Con la pena di morte Clemente risolse anche il processo contro la famosa Beatrice Cenci.
Paolo V (1605-21), che per primo condannò come contraria alle scritture la teoria copernicana e lanciò l’interdetto contro Venezia, perché intendeva processare e non consegnare alla Chiesa romana due chierici colpevoli di reati comuni, condannò a morte pochi giorni dopo la sua elezione un tal Piccinardi di Cremona, reo di aver scritto un libello contro Clemente VIII. In seguito prese parte alla sanguinosa guerra dei Trent’anni. Né ovviamente mancarono, sotto il suo pontificato, le condanne all’impiccagione o al rogo di numerosi eretici. Contro i protestanti e contro i turchi si schierò anche Gregorio XV (1621-23) che con la Omnipotentis dei del 20 marzo 1623, come si è già detto sopra, inasprì le condanne contro le streghe, stabilendo la pena capitale per chi era ritenuto responsabile di malefici mortali.
Anche Urbano VIII (1623-44), nepotista come pochi, prese parte alla guerra dei Trent’anni e si impegnò, perdendola, in una guerra contro il duca di Castro e Ronciglione, del cui ducato avevano cercato di impossessarsi i parenti del papa, i Barberini. Sotto il suo pontificato, oltre al processo e alla tortura di Galilei, si ebbero numerose condanne a morte di eretici o responsabili di aver offeso, come tal Giacinti Centini, la sovranità papale.
Per il resto del secolo, come si è già detto, si susseguirono papi spesso nepotisti e corrotti, in molti casi coinvolti in guerre locali (Innocenzo X riprese la guerra contro il ducato di Castro, che fu rasa al suolo dalle truppe pontificie nel 1649) o con i turchi (Clemente IX, Clemente X, Alessandro VIII, Innocenzo XII). Queste ultime favorirono anche un florido commercio di schiavi, posseduti dallo stato della chiesa come ci documenta il carteggio di Innocenzo X e altri papi. Alessandro VIII estese anche, con la bolla Cum alias felicis del 1690, i reati per cui era prevista la pena di morte nel suo stato. Sotto il pontificato di Alessandro VII (1655-57) e del “beato” Innocenzo XI (1676-89) si ebbero le ultime repressioni contro i valdesi condotte rispettivamente dal duca di Savoia su ispirazione della congregazione De propaganda fide nel 1655 (Pasque piemontesi) e dalle truppe franco-piemontesi nel 1686-89. Innocenzo XI riprese inoltre la serie delle impiccagioni per reati d’opinione nello stato della Chiesa, mandando alla forca nel 1685 Bernardino Scatolari, reo solo di aver scritto i soliti “foglietti” e.“carico di moglie e cinque figli” (118). Durante il suo pontificato fu perseguitato il quietista Miguel de Molinos, incarcerato a vita nel 1687, furono mandati a processo gli “ateisti” di Napoli e furono eseguite 65 pene capitali solo nella città di Roma, anche per reati minori dell’omicidio. Una decina di condanne capitali ebbe tempo di pronunciare a Roma nel suo breve pontificato Alessandro VIII (1789-91), mentre oltre una cinquantina di persone, di cui molte squartate, mandò a morte nella sola Roma Innocenzo XII, che fece anche decapitare dall’inquisizione due quietisti.
14. Un papa “illuminato” ma non troppo
Il Settecento iniziò, per lo stato della Chiesa, come il Seicento era finito, ossia con delitti, guerre ed esecuzioni capitali.Clementi, ma solo di nome
Nei primi quarant’anni del secolo i due papi di maggior rilievo furono Clemente XI (imm.sinistra, 1700-21), che comminò pene capitali anche per bestemmie o reati politici e mandò a morte in Roma oltre 60 persone per reati comuni, e Clemente XII (1730-40), che ne mandò a morte oltre 30, anche squartate e per reati politici. Benché cieco, ammalato e allettato, finanziava le crociate contro i mori. Nel 1735 poi fece arrestare da agenti del Santo uffizio lo storico Pietro Giannone, uno dei maggiori intellettuali italiani di quel periodo, che morirà nel 1748 nelle carceri sabaude. Nel 1739 fu arrestato a Firenze e rinchiuso nelle carceri della Santa Inquisizione in S. Croce anche il poeta massone Tommaso Crudeli che dopo 16 mesi di dura carcerazione ottenne di essere confinato nella sua casa di Poppi, dove morirà nel 1745.
Solo qualche decina di persone (sempre nella sola città di Roma) furono mandate a morte dai papi che si succedettero fra i due clementi: Innocenzo XIII e Benedetto XIII.
Benedetto XIV accusa gli ebrei di omicidio rituale
A Clemente succedette Benedetto XIV (1740-58), considerato il più grande pontefice del secolo, stimato da Voltaire e ritenuto “illuminato”. In realtà con Voltaire aveva in comune l’antisemitismo, che manifestò prima di tutto sostenendo la validità del battesimo anche se illecitamente imposto al neonato contro il parere dei genitori. In secondo luogo, e soprattutto, Benedetto XIV accreditò nella sua Lettera “Beatus Andreas” del 1755 la leggenda degli omicidi rituali, dando per accertato, anche sulla autorità di Sisto V che l’aveva beatificato, e di Gregorio XIII che l’aveva inserito nel Martirologio romano, che un bimbetto trentino, il “beato Simone”, sia stato ucciso nel XV secolo dagli ebrei in odio alla fede. A lui anzi Benedetto XIV aggiunse come caso certo quello di un bambino dei suoi tempi, il “beato” Andrea. La credenza di questo papa “illuminato” negli omicidi rituali è ribadita nella Lettera là dove afferma che il caso “di qualche Fanciullo ammazzato dagli Ebrei” solitamente “suol essere nella Settimana Santa in onta di Cristo, tali essendo gl’Infanticidi dei Beati Simone, ed Andrea” (119).
La posizione di Benedetto XIV è particolarmente grave perché nei secoli precedenti vari papi avevano definito priva di fondamento l’accusa di omicidio rituale rivolta agli ebrei. Adesso invece, con la sua autorità, si afferma una posizione opposta che durerà nella Chiesa al Vaticano II. Ancora agli inizi del Novecento, in una dichiarazione del Santo Ufficio approvata da Leone XIII, si legge: “Benché né in S. Officio né presso la Segreteria di Stato…nulla vi sia che abbia attinenza a tale accusa (le carte furono certamente involate in tempi di rivoluzioni, come dimostrasi da certi documenti che gli stessi ebrei metton fuori in loro difesa), pure è storicamente certo l’assassinio rituale, e ne parla Benedetto XIV; e la Santa Sede l’ha canonizzato con mettere sugli altari un bambino da essi ucciso in odio alla fede. Il detto assassinio è stato inoltre costatato e punito molte volte dai tribunali laici di Austria…” (120).
Inutile dire che così Benedetto XIV e i suoi successori fornirono a tali tribunali laici la giustificazione per commettere omicidi “reali” di ebrei, mandati a morte con queste false accuse.
Difendere la fede con le armi
A Benedetto XIV si deve anche l’ennesima giustificazione della guerra in difesa della fede. Egli scrisse infatti: “il dire poi… che la religione cattolica non si può né si deve difendere coll’armi, ma col solo aiuto delle prediche e delle preghiere, sembra una proposizione più che temeraria” (121).
Il papa respinse nel 1848 anche la richiesta, che gli fu fatta da numerosi vescovi, di mettere fine alla vergogna dei castrati, osservando che adottando tale misura si rischiava di “svuotare le chiese” (122). Sotto il suo pontificato, infine, morirono Giannone e Crudeli, cui si rifiutò di concedere la libertà.
Gli succedettero nel periodo rivoluzionario e della restaurazione papi insignificanti o reazionari o tutte e due le cose: Pio VI (1775-99), autore di un editto contro gli ebrei che inasprì la loro ghetizzazione e di un’enciclica per piangere l’esecuzione capitale di Luigi XVI, condannare la democrazia ed elogiare l’assolutismo, oltre che di alcune pene capitali; Pio VII (1800-23), che comminò oltre 160 pene capitali, anche esclusi i quattro anni in cui Napoleone lo cacciò dallo stato; Leone XII (1823-29), che ne comminò oltre 35 nel suo breve regno, fra cui i primi carbonari; Pio VIII (1829-30), che in due anni di regno ne comminò una dozzina. Si tratta di pene capitali, talvolta con squarto, non tutte per omicidio, talora anche per reati politici.
15. Il potere temporale non si tocca
Buona parte del secolo XIX fu dominata dalle figure di due grandi papi reazionari, Gregorio XVI (1831-46) e Pio IX (1846-78), che condannarono come “delirio” la libertà di coscienza e pretesero il carattere confessionale dello stato.Analogie e differenze di due reazionari
Per qualche aspetto si diversificarono. Gregorio, ad esempio, fu il primo a condannare formalmente la schiavitù, ormai eliminata da tutti i paesi civili, mentre Pio IX arrivò a definirla non del tutto contraria al diritto naturale. Al contrario Pio IX alimentò per qualche tempo l’illusione di una svolta in senso liberale dello stato pontificio, retto invece nel modo più ottusamente assolutistico da Gregorio. Ma entrambi furono irremovibili nel difendere il potere temporale, ricorrendo sia a guerre e sanguinose repressioni, sia alle esecuzioni capitali, anche per reati inferiori all’omicidio o per reati politici: oltre 110 Gregorio, 131 Pio. Furono inoltre entrambi antisemiti.
Due papi antisemiti
Nel 1840, quando scomparve a Damasco un frate capuccino, Tommaso, e gli ebrei furono accusati del (supposto) rapimento e del (supposto) assassinio, la Santa sede accreditò la tesi della colpevolezza degli ebrei e fece anzi circolare in Europa in modo segreto un opuscolo antisemita da essa ispirato. Numerosi ebrei furono imprigionati e solo in seguito a pressioni internazionali liberati.
Anche Pio IX, accreditò nel 1867 la tesi dell’omicidio rituale e favorì le violenze contro gli ebrei, rafforzando il culto di Lorenzino di Marostica, un bambino del XIII secolo martirizzato dagli ebrei secondo la leggenda. Pio IX fece inoltre rapire dei bambini ebrei, per educarli cristianamente. Nel 1852, quando aveva un anno, essendo ammalato, Edgardo Mortara fu battezzato di nascosto dalla domestica cattolica. Tanto bastò: cinque anni dopo, quando la cosa fu risaputa, i poliziotti pontifici irruppero in casa dei Mortara su ordine delle autorità ecclesiastiche, rapirono il bambino e lo portarono a Roma, dove fu rinchiuso in un istituto religioso fino ad età adulta, quando (questa volta di sua volontà) si fece sacerdote. Inutili le proteste dei genitori e perfino di molti sovrani europei: per Pio IX era “scattato” il caso previsto da Benedetto XIV del battesimo legittimo anche se illecito.
Né il clamore suscitato dall’episodio modificò il comportamento di questo papa. Nel 1864, a Roma, l’undicenne Giuseppe Coen “fu fatto entrare con un sotterfugio nell’ospizio dei catecumeni” e lì rimase fino a quando uscì per diventare carmelitano “nonostante le clamorose proteste e l’immenso dolore dei famigliari: una sorella ne morì, la madre impazzì” (123).
Due papi illiberali
Ma i due papi si distinsero soprattutto nella repressione militare e giudiziaria delle rivolte liberali. Invocando l’aiuto dell’Austria, Gregorio XVI schiacciò già nel 1831 i moti di Ferrara e Bologna e poi via via in quasi tutte le città dello stato pontificio. A Roma, dove nel 1836 “a peggiorare la situazione arrivò anche il colera… tra le repressioni dei moti e l’epidemia i morti furono migliaia” (124). Nuove insurrezioni e repressioni si ebbero nel 1845.
Quanto a Pio IX, neanche quando ormai era chiara l’imminente fine del potere temporale, rinunciò a impiegare l’esercito, provocando nuovi morti, per difendere Roma prima contro i garibaldini, poi a porta Pia il 20 settembre; né rinunciò a far decapitare, nonostante la richiesta di grazia del re d’Italia, i patrioti Monti e Targetti, ultimi di una lunga serie di condannati a morte.
16. Le guerre “giuste” di due Pii
Con la fine del potere temporale, i papi non ebbero più la possibilità di mettere direttamente a morte i colpevoli di reati politici, religiosi o comuni e indire guerre, distruggere città ribelli, reprimere rivolte. Ma non per questo cessò il sostegno alla violenza, o l’ambiguo atteggiamento rispetto alla guerra..
Pio XI giustifica le guerre coloniali
Quanto alle prese di posizione a favore della guerra ricordiamo che Pio XI (1922-39), per esempio, Al congresso internazionale delle infermiere cattoliche del 1935 giudicò favorevolmente la guerra coloniale “difensiva” degli italiani in Etiopia, rispolverando gli argomenti di Tommaso Moro prima ricordati: “una guerra …. divenuta necessaria per l’espansione di un popolo che aumenta di giorno in giorno, una guerra intrapresa per difendere o assicurare la sicurezza materiale di un Paese… una tale guerra si giustificherebbe da se sola”(125).
Concetti simili riportava “L’Osservatore Romano” ne L’idea colonizzatrice del 24 febbraio 1935 (“Le grandi ricchezze materiali che Iddio ha largamente profuso sulla terra per dare all’umanità benessere e pace, debbono essere poste a disposizione di tutti” e “si impone oggi il concetto…della collaborazione concorde fra le razze: fra dominatori e dominati”) o “La Civilità cattolica” del 1937 nell’articolo Giustizia ed espansione coloniale del gesuita Messineo (“Il diritto naturale permette di commerciare con tutti i popoli e coloro che rifiutano mancano di carità oltre che di giustizia…Se dunque queste popolazioni selvagge prendono le armi per impedire il commercio pacifico, non è forse vero che le nazioni civili hanno il diritto di armarsi … e di impadronirsi del territorio?”).
“Silenzi” e “parole” di Pio XII
Per quanto riguarda Pio XII (imm.sinistra, 1939-58) sarà da ricordare non solo il “silenzio” contestatogli da molti storici sugli stermini nazisti contro ebrei, zingari, omosessuali e oppositori politici ma anche sui campi di concentramento allestiti in Croazia durante la seconda guerra mondiale dagli ustascia cattolici di Ante Pavlic, regolarmente ricevuto in Vaticano e responsabile dell’eliminazione di 300-600.000 serbi ed ebrei.
Più tardi, in piena guerra fredda, ripropose dopo l’insurrezione ungherese la dottrina della guerra “giusta”: “risultato vano ogni sforzo per scongiurarla, la guerra, per difendersi… da ingiusti attacchi, non potrebbe essere considerata illecita” (126), non escludendo neppure, come disse altra volta, l’uso dell’atomica: “E neppure si può porre in via di principio la questione della liceità della guerra atomica, biologica e chimica, se non nel caso in cui essa dovesse essere giudicata indispensabile per difendersi nelle condizioni già dette” (127).
Pio XI e Pio XII benedicono il franchismo
Cosa i due Pii intendessero per “difesa” è chiarito dal concorde sostegno dato (per sorvolare sulla loro politica nei confronti delle dittature fascista e nazista) alla insurrezione franchista contro il legittimo governo spagnolo. Nel Discorso ai figli perseguitati della Spagna del 1936, Pio XI disse: “la Nostra benedizione si volge in modo speciale a quanti si sono assunto il difficile e pericoloso compito di difendere e restaurare i diritti e l’onore di Dio e della Religione” (128).
E, a vittoria raggiunta e instaurata la dittatura franchista, Pio XII nel Discorso del 1 aprile 1939 diceva: “Con immensa consolazione ci rivolgiamo a voi, figli carissimi della cattolica Spagna, per esprimervi le paterne congratulazioni per il dono della pace e della vittoria con cui Dio si è degnato coronare l’eroismo cristiano della vostra fede e carità…I disegni della Provvidenza si sono manifestati ancora una volta sull’eroica Spagna. La nazione scelta da Dio come principale strumento di evangelizzazione del Nuovo Mondo e baluardo inespugnabile della fede cattolica ha dato ai proseliti dell’ateismo materialista del nostro secolo la prova più alta che sopra di tutto si pongono i valori eterni della religione e dello spirito” (129).
17. Wojtyla e Ratzinger: “Viva Colombo!”
Il cenno di Pio XII alla “nazione scelta da Dio” è poi significativo di come egli consideri “principale strumento di evangelizzazione del Nuovo mondo” la conquista ad opera dei colonialisti spagnoli e il conseguente genocidio. Che è quanto pensano anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.Wojtyla ripropone la guerra giusta
Giovanni Paolo II, nel Messaggio per la XV giornata della pace del gennaio 1982, ripropone la dottrina della guerra “giusta”: “il cristiano, anche quando fortemente si impegna a contrastare ed a prevenire tutte le forme di guerra, non esita a ricordare, in nome di una elementare esigenza di giustizia, che i popoli hanno il diritto ed anche il dovere di proteggere, con l’uso di mezzi proporzionati, la loro esistenza e la loro libertà contro un ingiusto aggressore” (130). La formula è quella della guerra “difensiva”, che tuttavia sappiamo variamente interpretata e interpretabile, anche per il riferimento alla difesa non solo della “esistenza” ma della “libertà”. Negli anni Settanta, per esempio, gran parte del clero cattolico, specie statunitense, interpretava appunto l’invasione USA del Vietnam come guerra in difesa della libertà contro il comunismo…
La guerra atomica? Forse
E nel Messaggio all’ONU dell’11 giugno 1982, sempre in nome della “difesa”, Giovanni Paolo II afferma che “una ‘deterrenza’ fondata sull’equilibrio, non certo come un fine in se stesso ma come una tappa sulla via di un disarmo progressivo, può ancora essere giudicata moralmente accettabile” (131).
Così accoglie la tesi che al Concilio Vaticano II, nella stesura finale della Gaudium et spes, avevano sostenuto, venendo messi in minoranza, i conservatori: “Finché le istituzioni internazionali non fossero state in grado di accordarsi in modo adeguato, il possesso di tali armi [di distruzione di massa] al solo scopo di dissuadere l’avversario, armato delle stesse armi, non poteva essere dichiarato in sé illegittimo” (132).
Un pesante passo indietro rispetto alla condanna assoluta della guerra, almeno nell’età atomica, che aveva fatto Giovanni XXIII nella Pacem in terris, si trova nel Catechismo per gli adulti del 1991, varato da Giovanni Paolo II e in cui è ritenuta solo “molto problematica” l’immoralità di un conflitto nucleare. Anche il Catechismo della Chiesa cattolica del 1992, al capitolo La difesa della pace, non nega in via di principio la guerra e la delega ai governi di decidere se ricorrono le condizioni per “una legittima difesa” (133).
Contemporaneamente Giovanni Paolo II mise l’accento in due occasioni sul ruolo del servizio militare come espressione di amor di Patria (Ai militari polacchi, 2 giugno 1991) e “veicolo di evangelizzazione” (Sinodo dell’ordinariato militare, 19 novembre 2000), schierandosi sì contro le due guerre all’Iraq, ma a favore dell’ingerenza umanitaria, cioè dei bombardamenti contro la Serbia, a vantaggio della cattolica Croazia.
Wojtyla accredita la fiaba della conquista
Di più, con Giovanni Paolo II, la Chiesa tornò ad accreditare la fiaba dei pontefici cinquecenteschi su una “conquista” e un genocidio principalmente finalizzati all’evangelizzazione. Così si espresse Giovanni Paolo II in occasione del viaggio del 1987 in America latina nella Omelia a Avenida Costanera del 4 aprile in Cile: “La Chiesa è presente nelle radici e nell’attualità del continente…. Il seme della fede cristiana fu portato nel Cile dalla spedizione di Magellano, e più tardi da quella di Almagro; mise radici in questi territori del nuovo mondo grazie all’impegno costante di Pedro de Valdivia e dei missionari che lo accompagnavano. Ringraziamo il Signore per questa eredità di fede, che con la Provvidenza divina, iniziò a dare frutto in queste terre, grazie al grande impulso evangelizzatore dei figli di Spagna…. È emozionante leggere i racconti e le testimonianze di quelle eroiche gesta. In esse – al di là delle umane debolezze e del comprensibile desiderio di conquista – prevalse certamente ed in modo ammirevole la volontà di trasmettere al Nuovo Mondo la buona novella del messaggio cristiano” (134).
Giovanni Paolo II, nel Discorso a Santo Domingo del 12-13 ottobre 1992, ha anche reso “omaggio al grande Ammiraglio” Colombo: “Siamo riuniti di fronte a questo Faro di Colombo, che con la sua forma a forma di croce vuole simbolizzare la Croce di Cristo piantata su questa terra nel 1492. Con esso si è voluto anche rendere omaggio al grande Ammiraglio che lasciò scritto quale sua volontà: ‘mettete croci in tutte le vie e i sentieri, affinché Dio li benedica’” (135).
Un elogio che il papa non mancò di estendere anche all’altro evangelizzatore, Carlo Magno, nel Convegno per il 1200° del Sacro Romano Impero del dicembre 2000: “La grande figura storica dell’imperatore Carlo Magno rievoca le radici cristiane dell’Europa”, disse, “riportando quanti la studiano ad un’epoca che, nonostante i limiti umani sempre presenti, fu caratterizzata da un’imponente fioritura culturale in quasi tutti i campi dell’esperienza. Alla ricerca della sua identità, l’Europa non può prescindere da un energico sforzo di recupero del patrimonio culturale lasciato da Carlo Magno” (136).
Le contraddizioni di Benedetto XVI
Le medesime posizioni ha espresso Benedetto XVI nel suo Discorso per la V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi in Brasile il 13 maggio 2007, prima di essere costretto a una precipitosa rettifica dalle proteste del mondo cattolico latino-americano: “La fede in Dio ha animato la vita e la cultura di questi Paesi durante più di cinque secoli. Dall’incontro di quella fede con le etnie originarie è nata la ricca cultura cristiana di questo Continente… l’accettazione della fede cristiana… ha significato anche avere ricevuto… lo Spirito Santo che è venuto a fecondare le loro culture, purificandole” (137).
Più ferme sono soltanto le condanne della guerra santa e della violenza fatte “in nome di Dio”, perché ciò gli serve a guadagnare punti in Occidente polemizzando contro l’integralismo islamico. Così Benedetto XVI ha affermato: “Dio, Creatore e Padre di tutti, chiederà conto ancor più severamente a chi sparge in suo nome il sangue del fratello” (138). Ma non ha spiegato come lo stesso Dio che “chiede conto severamente” del sangue versato, sia anche quello che – come Urbano II, Innocenzo III, Pio V e molti altri papi hanno insegnato – “ricompensa”, in questa vita e nell’altra, chi sparge il sangue in suo nome per “vendicare il Signore”.
18. Una morale sessuofobica
La Chiesa cattolica se odia, come abbiamo visto attraverso la sua storia, gli esseri umani vivi e ragionanti, ha invece uno sviscerato amore per spermatozoi, zigoti e non-nati. Vieta infatti: a) che anche un solo spermatozoo venga sprecato versandolo fuori del “debito vaso”, cioè eludendo lo scopo riproduttivo; b) che, raggiunto tale fine, il concepito non sia fatto uscire a tutti i costi dal grembo della madre, anche se il “costo” è la morte della donna o di entrambi.Questi principi, disgiunti o combinati insieme, sono all’origine di una catena di stragi e di violenze. Per questo ci permettiamo una breve, illuminante digressione sulla morale sessuale cattolica.
La crociata contro il piacere
Già Agostino considerava “vergognosa” la contraccezione, ossia l’avere rapporti sessuali anche “normali” e fra persone sposate ma cercando di evitare la procreazione. Egli scrive nel 420 che “questo rapporto, in cui si evita il concepimento della prole, è illecito e vergognoso anche con la consorte legittima. Così faceva Onan, figlio di Giuda, e per questo il Signore lo fece morire” (139).
E il vescovo Cesario di Arles (prima metà VI secolo) definiva omicidio qualsiasi cautela mirante a prevenire il concepimento, come prendere una bevanda “che pregiudichi la forza della natura” (140), mentre Martino, vescovo di Braga, equiparava la contraccezione all’infanticidio (141).
Ma un documento soprattutto ufficializza la condanna della contraccezione come omicidio: il Si aliquis (così detto dalle parole iniziali) del 906 circa, contenuto nel Libro penitenziale del monaco Reginone di Prum e recepito nel Codice di Diritto Canonico dal XIII secolo al 1917: “Se qualcuno (si aliquis) per soddisfare il proprio piacere o per un odio di cui è consapevole, procura una lesione a un uomo o a una donna, così che da lui o da lei non possano essere generati figli, o se uno dà loro da bere una pozione per cui l’uomo non possa generare o la donna concepire, costui deve essere considerato un assassino” (142). Lo stesso concetto si trova nel testo Aliquando del Decretum Gratiani, una raccolta di leggi compilata nel 1140 e poi confluita nel Diritto canonico.
L’idea – priva di ogni fondamento logico – che prevenire un concepimento sia un assassinio discende dalla convinzione tomistica esposta nel Contra gentiles secondo cui ogni “emissione di sperma” deve essere tassativamente finalizzata alla procreazione (143).
Proprio la difesa ad oltranza della vita “in potenza” confrontata alla disinvoltura con cui la Chiesa, come si è visto nelle pagine precedenti, elimina le vite “in atto”, fa dire sarcasticamente a Uta Ranke-Heinemann: “i figli immaginari vengono protetti dalla contraccezione con molto più vigore di quanto i figli reali, quasi adulti, vengano difesi dall’inferno della guerra e dalla morte sui campi di battaglia, secondo l’intollerabile errata credenza cattolica che i veri crimini dell’umanità si compiono nella camera da letto matrimoniale e non sui teatri di guerra” (144).
Con il ricorso voyeristico a “una polizia ecclesiastica del letto matrimoniale” (145), la Chiesa mira in conclusione a impedire quello che ritiene il massimo crimine e cioè rapporti sessuali che soddisfino i coniugi e conseguano l’odiato piacere senza portare alla procreazione. Infatti, benché Benedetto XVI abbia cercato di far credere ai giovani nel 2006 che “la fede e l’etica cristiana non vogliono soffocare ma rendere sano, forte e libero l’amore” (146), per la Chiesa, come spiegava Innocenzo III, “il rapporto coniugale non avviene senza l’ardore della lussuria, senza il sudiciume del piacere, per cui il seme concepito viene insudiciato e rovinato” (147). Che sia pagato con il fastidio di un figlio è quindi il minimo (148)…
Contraccettivo=aborto=assassinio
L’equazione “contraccezione-aborto-omicidio”, stabilita dal Si aliquis e da Aliquando, fu ribadita cinquecento anni dopo dal Catechismo romano del 1566, approvato dal Concilio di Trento: “Il desiderio della procreazione… fu l’unico motivo per cui Dio istituì agli inizi il Matrimonio. S’intende perciò quanto mostruoso sia il delitto di quei coniugi che, mediante ritrovati medici, impediscono il concepimento o procurano l’aborto; questo equivale all’azione infame degli omicidi” (149).
Solo in tempi molto recenti, Giovanni Paolo II ha detto che contraccezione e aborto sono due tipi “diversi” di peccato, pur conservando anche verso la contraccezione il divieto assoluto ribadito da Paolo VI nel 1968 con la Humanae vitae (l’enciclica della pillola): “è assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite…ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione…” (150). Nella sua polemica contro la contraccezione, Giovanni Paolo II stabiliva inoltre questa stravagante equivalenza: “La contraccezione è da giudicare, oggettivamente, così profondamente illecita da non potere mai, per nessuna ragione, essere giustificata. Pensare o dire il contrario, equivale a ritenere che nella vita umana si possano dare situazioni nelle quali sia lecito non riconoscere Dio come Dio” (151).
19. I papi assassini delle donne
Fine della digressione. Qui, infatti, ci interessa soprattutto sottolineare gli effetti omicidi, di strage continuata strisciante, che ha la morale sessuale cattolica.O castità o morte
Le ripercussioni pratiche le mostra un episodio raccontato dalla già citata Heinemann e che avvenne nel XII secolo: “una donna durante un parto aveva avuto una ernia ombelicale, e i medici fecero rilevare che non sarebbe sopravissuta a un’altra gravidanza. Alcune persone pensarono ‘che dovesse procurarsi delle pozioni sterilizzanti, in modo da poter compiere ancora il suo dovere matrimoniale, sicura di non restare incinta’. A questa opinione si oppose il teologo Pietro Cantore (morto nel 1197): seguendo il testo Aliquando e la sua severa condanna degli anticoncezionali, decise che in nessun caso la donna sarebbe stata autorizzata a procurarsi pozioni sterilizzanti” (152).
E, nei secoli successivi, il divieto – con i conseguenti pericoli per la moglie – si estese anche a nuovi e più moderni sistemi contraccettivi come il “cappuccio inglese”, ossia il preservativo cui, diceva il Santo uffizio in un decreto nel 1916, “la donna deve opporre resistenza come a un violentatore” (153).
La donna poteva evitare così i rischi mortali della gravidanza, solo nel modo spiegato dal teologo Guy nel 1850: “se sussiste un pericolo reale si deve raccomandare un’eroica astinenza” (154).
Ma in altri casi, tenuto anche conto del dovere della moglie di soddisfare il debito coniugale per non indurre il marito all’adulterio, neppure la castità era una via di scampo e allora, spiega il Vicariato del vescovo Keller di Monaco, “La moglie non deve usare mezzi contraccettivi neppure come ‘legittima difesa’, ad esempio per proteggersi da un marito affetto da malattie sessuali… che porterebbero la donna a correre un evidente rischio di vita in caso di gravidanza” (155). Questo testo è degli anni Cinquanta del Novecento (!).
Poco prima del resto Pio XI, nell’enciclica Casti connubi del 1930, dopo aver insultato come persone che “bramano soltanto soddisfare le loro voglie” quanti “viziano l’atto naturale”, aggiungeva che “non vi può essere ragione alcuna, sia pur gravissima, che valga a rendere conforme a natura ed onesto ciò che è intrinsecamente contro natura” e che la moglie può salvarsi solo “con l’onesta continenza” (156). Pio XII a sua volta, in una dichiarazione del 1958, rinnovò il divieto anche se vi fosse pericolo di vita per la donna: “Si causa una diretta e illecita sterilizzazione, quando si impedisce l’ovulazione per proteggere l’organismo dalle conseguenze di una gravidanza che esso non può sopportare” (157).
Quante donne, nel corso di quasi un millennio, costrette a scegliere fra la castità, sconsigliabile anche per la stessa armonia coniugale, il peccato mortale e il rischio di una gravidanza pericolosa, hanno optato per quest’ultima? Quante donne sono state uccise dai papi? E’ impossibile dirlo ma è certo che questo omicidio strisciante ha fatto, nel corso dei secoli, un numero assai rilevante di vittime.
Una testimonianza di Simenon
Un’altra causa di morte per centinaia di migliaia di donne è la “scelta” fra la madre e il feto, imposta sempre dalla “morale” cattolica. “E’ una capitolo macabro”, scrive Uta Heinemann, “quello che riguarda il pericolo di morte per parto, a causa – a volte – dell’omissione di soccorso. Negli ospedali cattolici, fino a tempi recenti [il libro è del 1990], le donne hanno corso questo pericolo e, se venisse osservato l’insegnamento ufficiale della chiesa, lo correrebbero ancora oggi” (158).
Prosegue la Heinemann raccontando che il celebre giallista George Simenon, il “padre” dell’ispettore Maigret, era andato con la moglie Denise, in avanzato stato di gravidanza, in una clinica ginecologica statunitense dell’Arizona, loro segnalata come la migliore. Ma ne era venuto via subito perché all’entrata vi era un avviso che diceva: “In caso di grave incidente il destino del bambino prevale su quello della madre in base alla decisione del primario e della superiore delle suore” (159). Simenon scrive: “Un brivido di raccapriccio ci corse lungo la schiena e ci allontanammo in punta di piedi” (160). Loro figlio, conclude la Heinemann, nacque in un ospedale meno cattolico.
Uccidere la madre per battezzare il feto…
Agli inizi del XVII secolo, un’istruzione per levatrici dei cattolici tedeschi recita: “Qualora si debba provvedere alla madre o al bambino, essa [la levatrice] deve far si che il bambino venga battezzato, in quanto è meglio che la madre muoia santamente, che non il figlio muoia senza battesimo” (161).
Tale restò nella sostanza la posizione cattolica in materia, come la espose anche il più importante teologo del Settecento, Alfonso Maria de’ Liguori nel 1748: “Nel caso che il feto sia già pervaso dall’anima e si giudichi che la madre morirebbe con la prole, se non assumesse la medicina, è lecito che la prenda… Se invece con la morte della madre la speranza di vita e di battesimo della prole si prospetti evidente; la madre è tenuta, secondo i più, sotto pena di peccato mortale, ad astenersi da ogni rimedio distruttivo per la prole, perché ella ha il dovere di esporre la sua vita fisica per l’estrema necessità spirituale del bambino” (162).
Ed ecco come rispose il Santo uffizio, con l’approvazione del “progressista” Leone XIII, al vescovo di Cambrai il 27 luglio 1895: “Esposizione: Il medico Tizio, essendo stato chiamato presso una donna incinta… constatava in tutti i sensi, che la causa della malattia mortale altra non era che la gravidanza stessa…Una sola via, dunque, egli aveva a disposizione, per salvare la madre da una morte certa e imminente: procurare cioè l’aborto, o espulsione del feto. Questa via egli intraprendeva, usando tuttavia i mezzi e le operazioni che di per sé e direttamente non miravano propriamente a uccidere il feto…, ma soltanto a far sì che il feto, se fosse possibile, venisse dato alla luce vivo, anche se destinato a morire subito, dal momento che era ancora del tutto immaturo…Domanda: Tizio chiede se può compiere con sicurezza le operazioni descritte, nelle suddette circostanze, una volta che si ripetano.
“Risposta: No, secondo gli altri decreti, quelli cioè del 28 maggio 1884 e del 19 agosto 1889” (163).
Che sia preferibile salvare la vita (eterna…) del bambino, piuttosto che quella terrena della madre lo pensa anche il teologo Gopfert che nel 1906 scrive: “la speranza…di poter sicuramente battezzare… il bambino giustifica il pericolo che l’operazione comporta sempre per la madre… in considerazione della salvezza eterna del bambino, la si potrebbe considerare un dovere per la madre” (164).
Non è mai lecito uccidere l’innocente
Tanto più la scelta è obbligata se si tratta di salvare uno dei due. Pio XI, nell’enciclica Casti connubii già citata dichiara: “già abbiamo detto…quanta compassione noi sentiamo per la madre, la quale, per ufficio di natura, si trovi esposta a gravi pericoli, sia della salute, sia della stessa vita: ma quale ragione potrà mai avere la forza di rendere scusabile, in qualsiasi modo, la diretta uccisione dell’innocente?….A coloro, infine, che tengono il supremo governo delle nazioni, e ne sono legislatori, non è lecito dimenticare che è dovere dell’autorità pubblica di difendere con opportune leggi e con la sanzione di pene, la vita degli innocenti” (165).
Basandosi sulla gesuitica distinzione fra “lasciar morire” e “uccidere”, Pio XI non ha dubbi che in caso di scelta sia da sacrificare, pur con “compassione”, la madre, ossia una vita autonoma “in atto”, piuttosto che “l’innocente”, ossia un non-nato, una vita “in potenza” il cui aborto gli ebrei, ad esempio, sensatamente non giudicano omicidio, poiché il feto è considerato una parte della madre, sacrificabile per salvare la vita di lei (166).
Per l’omicida Pio XI, invece, le madri, di cui pure ha “compassione”, devono essere punite per legge dagli stati se sacrificano “la vita degli innocenti” anziché la propria.
Meglio due morti che salvare la madre
Il divieto di “uccidere l’innocente” vale anche nel caso più contestato e cioè se la morte della madre non salva il feto. Perché sia giusto così ce lo spiegarono nel 1938 Joseph Mausbach e Peter Tischleder: “La motivazione secondo cui risparmiando il bambino per lo più ne vanno di mezzo due vite, mentre con il sacrificio del bambino solo una fa una grande impressione…[ma] L’uccisione violenta di una vita senza colpa non è mai lecita; non può esserlo, senza indurre gli uomini a ulteriori passi funesti ed esiziali… E’ invece permesso…il ricorso a farmaci e operazioni indirizzati non contro la gravidanza, ma contro una contemporanea malattia mortale della madre, e che per accidens possono causare l’aborto, a condizione che non venga pregiudicata la possibilità del battesimo del bambino” (167).
Anche i due teologi insistono sulla vita “senza colpa”. Che sia “senza colpa” la madre essi come i papi lo escludono, come trascurano il fatto che la madre sia una persona vivente e l’altro ancora no. Gesuiticamente accettano tuttavia di eliminarlo “per accidens” nel caso fortunato (per la madre) che essa abbia un’altra malattia mortale (oltre alla gravidanza…) e fermo restando che il feto, prima di essere soppresso, possa essere battezzato. Contorsionismi inutili oggi, dopo che si è scoperta l’insperata possibilità di salvarsi senza battesimo grazie all’apposita commissione teologica nominata da Benedetto XVI e che ha provveduto a togliere di mezzo il Limbo (168).
La dottrina secondo cui bisogna sacrificare la madre vivente e autonoma piuttosto che il figlio non-nato, fu ribadita da Pio XII in più occasioni, fra cui citiamo questo discorso del 1948: “Se è riprovevole…uccidere un innocente per salvarne un altro, non è meno illecito, sia pure per salvare la madre, di cagionare direttamente la morte di un piccolo essere chiamato, se non per la vita di quaggiù, almeno per la futura, a un alto e sublime destino, ovvero inaridire e sterilizzare, mediante una operazione che nessun altro motivo giustifica, le sorgenti della vita” (169). E nel 1951, Pio XII affermava: “salvare la vita della madre è un nobilissimo fine; ma l’uccisione diretta del bambino come mezzo a tal fine, non è lecita….Se… le condizioni richiedono…l’esclusione della maternità…anche in questi casi estremi ogni manovra preventiva e ogni diretto attentato alla vita e allo sviluppo del germe è in coscienza proibito ed escluso, e…una sola via rimane aperta…quella dell’astinenza da ogni attuazione completa della facoltà naturale” (170).
A diffondere questa posizione, ribadendo che è meglio far morire madre e figlio piuttosto che salvare solo la madre, hanno concorso autorevoli manuali di teologia come quello di Herbert Jone del 1953 o di Bernard Haring del 1957: “Nemmeno per salvare la vita della madre è consentito spezzare la vita del nascituro vivo”, scrive Jone, “ad esempio mediante la craniotomia, l’embriotologia ecc.” (171). La diretta uccisione del feto è proibita anche quando il medico la ritenga necessaria… per la salvezza della madre… quando senza questo intervento potrebbero morire sia la madre che il bambino, incalza Haring, poiché “qualunque possa essere il giudizio della scienza medica, la tesi invariabile della Chiesa è che non sarà mai e in nessun caso lecito di attentare direttamente nel seno materno alla vita del bambino” (172). L’Haring ha anzi la sfrontatezza di affermare, nell’edizione di dieci anni dopo del trattato sopra citato: “Vi furono medici che rimproverarono alla Chiesa il fatto che essa condanna anche la motivazione vitale [ossia l’aborto se la vita della madre è in grave e immediato pericolo]. In realtà la medicina fu stimolata salutarmente da tale proibizione a sviluppare meglio la prassi medica, così che oggi può provvedere quasi sempre alla vita della madre e del figlio” (173).
“Certo molte madri devono la loro morte alle salutari indicazioni dei papi”, commenta la Heinemann, “ma in compenso i medici sono loro debitori del progresso della loro scienza, al quale, senza l’esortazione papale che passa sui cadaveri, non avrebbero certo aspirato” (174). Resta naturalmente inteso che le donne, dopo aver accettato la condanna a morte pronunciata dalla Chiesa, che in tal modo ha stimolato “la prassi medica”, dovranno continuare a sacrificarsi, come spiega sempre Haring ed. 1967, se fosse indispensabile per assicurare la vita ma, soprattutto, il battesimo del feto: “[Ancora oggi] Se non c’è nessun altro modo di salvare la vita del bambino e specialmente di assicurargli il battesimo, la madre è obbligata a sottoporsi a… operazioni che mirano principalmente alla salvezza del bambino, mentre espongono la madre a certi pericoli” (175). In conclusione, osserva sempre la Heinemann, se le donne muoiono oggi meno di quanto accadeva un tempo è grazie al progresso della medicina, non certamente a quello della teologia…
Un po’ meglio in Germania…
Solo il 7 maggio 1976 e solo in Germania, e solo se non salvando la madre muoiono tanto la madre che il feto, una Dichiarazione dei vescovi riconosceva ai medici – non alla paziente, dato che “Si decide sempre sulle donne, ma non con loro, né tanto meno sono loro a decidere” (176) – il diritto non già di salvare senz’altro la madre ma di valutare il da farsi: “[i vescovi tedeschi] rispettano la decisione di coscienza dei medici…in situazioni di conflitto… in cui si deve decidere tra la perdita sia della vita della madre sia di quella del bambino non ancora nato, e la perdita di una vita soltanto” (177). Si veda con quante riserve, quasi a malincuore, la Chiesa prende in esame l’idea di poter salvare la madre…
20. Come i papi uccidono anche con l’Aids
Sotto il pontificato di Wojtyla, al capitolo Il rispetto della vita umana del Catechismo della Chiesa cattolica del 1992, nel riaffermare la condanna della contraccezione e dell’aborto, si diffida lo Stato dall’intervenire in materia “con mezzi contrari alla legge morale”, fra i quali rientrano sia le campagne di pianificazione delle nascite sia più in generale quelle sull’uso del preservativo, con cui si cerca, in alcuni paesi del Terzo mondo soprattutto, di prevenire l’Aids e salvare vite umane.O castità o contagio
In conclusione, l’unico antidoto contro l’Aids, ritenuto quasi un castigo divino e certo un effetto di “comportamenti sessuali irresponsabili”, è lo stesso che si proponeva alle donne contro le gravidanze pericolose: la castità. Ma il Vaticano non si limita a proporre misure certo poco efficaci. Specie in Africa, si attiva presso governi “cattolici” o “amici” per scoraggiare e impedire il ricorso a “mezzi contrari alla legge morale”, come i preservativi, e quindi cerca di impedire campagne che incentivino l’uso dei profilattici, in modo da limitare l’epidemia e ridurre i pericoli di morte. Il che dimostra chi davvero operi contro la legge morale e contro la vita.
Per questo lo studioso e giornalista inglese T. Eagleton scrisse, alla morte di Wojtyla, che il papa, da tanti invocato “santo subito”, si presentava al giudizio divino “con le mani sporche di sangue” (178).
Naturalmente, mentre si mostrava assai poco interessato a salvare le vite delle persone reali, il papa approvava il 21 novembre 2002 una Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica emanata dalla Congregazione per la dottrina della fede presieduta da Ratzinger, nella quale si ordinava ai politici cattolici di “rispettare e proteggere i diritti dell’embrione umano” (179).
Per cercare di occultare le proprie responsabilità la Chiesa enfatizza l’impegno dei cattolici nel curare i malati di Aids e insiste poi sul fatto che il preservativo non sarebbe…sicuro per cui l’unico modo certo per evitare il contagio è la castità. Ma di fronte alle dimensioni del problema anche riviste cattoliche come “Testimoni”, quindicinale di informazione, spiritualità e vita consacrata, hanno richiesto alla Chiesa un atteggiamento diverso.
La critica dei cattolici
“La prevenzione primaria per le persone non ancora infette è urgente e deve iniziare molto presto”, scrive “Nigrizia” citando Padre Joinet che afferma: ‘Per noi la prevenzione primaria è complicata dal conflitto sull’uso del preservativo. Alcuni vescovi proibiscono l’uso anche alle persone sieropositive sposate. Altri insistono sul ‘non uccidere’ e ne consigliano l’uso in alcuni casi particolari. Le conseguenze di tale conflitto sono drammatiche. Conosco infermiere di dispensari cattolici che non informano i malati della loro sieropositività perché, non potendo consigliare l’uso del preservativo, non credono nella possibilità dell’astinenza quotidiana per sempre. In alcuni paesi le Chiese non hanno un programma di prevenzione capace di proposte fattibili per tutti, soprattutto per i giovani. I gruppi di Jeunesse vivante, in Tanzania propongono l’astinenza prima, durante e dopo il matrimonio e raggiungono migliaia di giovani offrendo una formazione globale per la vita. É esemplare. Ma centinaia di migliaia, milioni di altri giovani non vogliono fare parte di questi gruppi e non ricevono alcuna formazione al controllo di sé. Perché – si chiede P. Joinet – tanta opposizione, in questo campo, da parte della Chiesa e di molti missionari?”.
“Alcuni vescovi”, conclude, “si basano sull’insegnamento dell’Humanae vitae (1968) che proibisce l’impiego di metodi artificiali per la contraccezione. Paolo VI ha insistito sul valore della vita e della sua trasmissione. Ma ha scritto nel 1968.
Un fatto nuovo, l’Aids, è sorto dal 1981 e dal 1983 si conosce l’esistenza del virus dell’Hiv. Noi sappiamo che un incontro sessuale in questa situazione può trasmettere la morte come la vita. L’uso del preservativo può impedire, nello stesso tempo, la vita e la morte…. Anche uno studente agli inizi della teologia sa bene che, in caso di doppio effetto, noi dobbiamo cercare il male minore. Trasmettere un virus mortale sembra infinitamente più grave dell’impedire l’incontro tra uno spermatozoo ed un ovulo, anche se protetto da un’enciclica. Il ‘non uccidere’ è incontrovertibile” (180).
Ma l’atteggiamento della Chiesa non è cambiato
Irremovibili
L’8 settembre 2004, Giovanni Paolo II affermava: “Quanto al dramma dell’Aids, ho già avuto modo di sottolineare in altre circostanze che esso si presenta anche come una ‘patologia dello spirito’. Per combatterla in modo responsabile, occorre accrescerne la prevenzione mediante l’educazione al rispetto del valore sacro della vita e la formazione alla pratica corretta della sessualità. In effetti, se molte sono le infezioni da contagio attraverso il sangue specialmente nel corso della gestazione – infezioni che vanno combattute con ogni impegno – ben più numerose sono quelle che avvengono per via sessuale, e che possono essere evitate soprattutto mediante una condotta responsabile e l’osservanza della virtù della castità. I Vescovi partecipanti al menzionato Sinodo per l’Africa del 1994, riferendosi all’incidenza che nella diffusione della malattia hanno comportamenti sessuali irresponsabili, formularono una raccomandazione che qui vorrei riproporre: ‘L’affetto, la gioia, la felicità e la pace procurati dal matrimonio cristiano e dalla fedeltà, così come la sicurezza data dalla castità, devono essere continuamente presentati ai fedeli, soprattutto ai giovani’” (181). Castità è la prima e l’ultima parola della Chiesa, oggi di fronte all’Aids come ieri di fronte alle gravidanze che mettevano a rischio le vite delle donne.
E Benedetto XVI, dopo aver commissionato una ricerca sul preservativo che aveva aperto qualche speranza, ha ribadito di voler condividere le linee e le responsabilità del suo predecessore. E nel corso di un suo recente viaggio in Africa ha rinnovato la campagna contro il preservativo.
21. La copertura della pedofilia
Anche gli abusi sessuali, cioè le violenze del clero sui minori, esplose oggi, sono da ricondurre alla concezione distorta della sessualità di cui si è detto prima. Da una parte, infatti, la condanna maniacale del piacere sessuale, visto come il peggiore dei peccati, se non sia giustificato dal fine riproduttivo, porta a trattare come “omicidio” la contraccezione (e così a commettere veri omicidi di donne costrette all’astinenza o a restare in cinta a rischio della vita). D’altra parte porta a ritenere eguali fra loro in quanto espressione di “lussuria” azioni in realtà ben diverse.Ciò si capisce bene leggendo quanto dice il Catechismo della Chiesa cattolica. Compendio del 205: “492. Sono peccati gravemente contrari alla castità, ognuno secondo la natura del proprio oggetto: l’adulterio, la masturbazione, la fornicazione, la pornografia, la prostituzione, lo stupro, gli atti omosessuali. Questi peccati sono espressione del vizio della lussuria. Commessi su minori, tali atti sono un attentato ancora più grave contro la loro integrità fisica e morale”.
Ma condannare allo stesso modo come “lussuria” sia il libero uso del proprio corpo da soli o con altri (masturbazione, fornicazione, atti omosessuali), sia la brutale violenza su persone non consenzienti (lo stupro e gli atti su minori) porta di fatto a derubricare a una forma di lussuria, equiparandole a una masturbazione o a una libera scopata da trattare in confessionale, delle “violenze”, cioè dei peccati contro il quinto comandamento e con rilevanza anche penale.
Tale distorsione, propria non dei singoli preti ma della dottrina e dell’insegnamento della Chiesa, si è tradotta per un verso nello spingere i singoli (già indotti a cercare degli “sfoghi” alle imposizioni di una morale celibataria) a non comprendere appieno la gravità e la fattispecie specifica della pedofilia e per altro verso nella scelta, fatta e ribadita per decenni dai massimi vertici ecclesiastici, di occultare questo “peccato” per evitare scandali e di trattarlo sotto il segreto pontificio” anziché considerarlo un “reato” da denunciare alle autorità civili.
22. Omicidio di stato e “pratiche crudeli”
Gli omicidi commessi dalla Chiesa, come si è visto, sono stati in gran parte frutto dell’affidamento al braccio secolare o extragiudiziali, derivanti da guerre, conquiste, lotte fra le varie fazioni curiali e vendette private, se non addirittura indiretti, come risultato delle campagne anticontraccettive e antiabortiste. Ma vi furono, come pure abbiamo visto parlando dei singoli papi, anche omicidi “di stato”, ossia l’uso della pena di morte nello stato della Chiesa per punire reati politici o comuni (anche se a volte sotto questa dizione rientrarono peccati-reati di tipo politico-religioso, dalla bestemmia alle offese contro la religione o contro il papa all’omosessualità, che in altri casi o epoche furono di competenza dei tribunali dell’inquisizione).Qui ci occupiamo solo della giustificazione dottrinale che la Chiesa ha dato all’omicidio di stato e alle “pratiche crudeli” (mutilazioni o torture), e di come e fino a quando tali pene rimasero in vigore nello stato pontificio.
Agostino e le uccisioni consentite
I primi padri della Chiesa erano in genere fortemente contrari alla violenza omicida. Si veda, per tutti, Lattanzio, che scrive: “Dio nel proibire l’assassinio, biasima non solo il brigantaggio, che è contrario alle leggi umane, ma anche ciò che gli uomini considerano legale. La partecipazione alla guerra, quindi, non deve sembrare legittima a un uomo giusto” (182).
Ma nel IV-V secolo, iniziata l’età costantiniana, Agostino, teorizzò insieme alla “guerra giusta”, come voluti da Dio, e citando l’Antico Testamento, anche i sacrifici umani (!) e l’omicidio di stato.
Nel 413 ca Agostino scrive nella Città di Dio: “Lo stesso magistero divino ha fatto delle eccezioni alla legge di non uccidere. Si eccettuano appunto casi d’individui che Dio ordina di uccidere sia per legge costituita o per espresso comando rivolto temporaneamente a una persona. Non uccide dunque chi deve la prestazione al magistrato… Quindi non trasgrediscono affatto il comandamento con cui è stato ingiunto di non uccidere coloro che han fatto la guerra per comando di Dio ovvero, rappresentando la forza del pubblico potere, secondo le sue leggi, cioè a norma di un ordinamento della giusta ragione, han punito i delinquenti con la morte” (183).
Mutilazioni e tortura
Questa resterà, fino ai giorni nostri, la posizione della Chiesa per quanto riguarda l’omicidio di stato e la sua pratica nello stato pontificio. Fino al 1000, però, pareva tassativamente esclusa la tortura anche per estorcere la confessione. Nicolò I (papa e santo), rispondendo ai Bulgari nell’866, riteneva che torturare non fosse “permesso in nessun modo né dalla legge divina nè della legge umana” (184).
Ma nel 1270 ca Tommaso d’Aquino spiega che “come lecitamente uno può essere, dalla pubblica autorità, privato totalmente della vita, per colpe gravissime, così uno può essere mutilato di qualche membro per alcune colpe minori” (185). Ciò apre la strada alla tortura anche se Tommaso parla delle mutilazioni come pena e non come mezzo per estorcere la confessione.
A questo fine, tuttavia, la tortura già esisteva nell’ordinamento statuale e fu adottata nel 1254, come abbiamo visto più sopra, da Innocenzo IV contro gli eretici, entrando nell’uso ecclesiastico. Dal XIV secolo l’uso dei “tormenti” detti anche, con linguaggio ipocrita, “rigoroso esame”, fu codificato in modo quasi pignolo dai più noti manuali inquisitoriali ,dal celebre Manuale dell’Inquisitore di Nicolau Eymerich del 1376 al meno conosciuto Tractatus de officio sanctissimae Inquisitionis di Cesare Carena del 1669, che disquisisce su quando “il solo possesso di un libro proibito sia motivo sufficiente per torturare il possessore” (186). Nel frattempo, come pure si è già visto più sopra, un decreto del Santo Ufficio del 1557 contemplava la possibilità che il torturato morisse e si premurava di assolvere preventivamente i torturatori.
La tortura, come attesta nel XVI secolo la relazione di un funzionario di Filippo II, era praticata anche nel Nuovo Mondo dai religiosi nel quadro dell’evangelizzazione: i frati raparono e vestirono coi sanbeniti i trenta esponenti maya arrestati, si legge, “collocandoli in alto alla maniera del tormento della carrucola con pietre di due e tre arrobas [50 e 75 libbre] e così appesi dandogli molte frustate fino a che non scorreva a molti di loro sangue per la schiena e per le gambe fino al suolo; e su queste [ferite] le tormentavano con olio bollente come si usava fare con i negri schiavi, e con candele di cera incendiate e fondendo sulle loro carni la cera” (187).
Le “giustizie” a Roma dal XIV secolo
“Giustizie” erano dette le esecuzioni capitali che avevano luogo nello Stato pontificio e Le giustizie a Roma è il titolo di un libro che ad esse dedicò nel 1882 il liberale A. Ademollo (188). L’autore vi pubblica un diario dell’abate Placido Eustachio Ghezzi su tutte le Giustizie eseguite in Roma dal 1674 al 1739. Ghezzi ricorda che Clemente X aveva autorizzato l’Arciconfraternita della SS. Natività di N. S. Gesù Cristo degli Agonizzanti a esporre il SS.mo, con indulgenza, ogni volta che si eseguiva una condanna a morte. Il Ghezzi dà una nuda cronologia delle esecuzioni fino al 1697, poi via via le arricchisce di dettagli (nomi e poi anche colpe dei giustiziati e tipo di supplizio). Ademollo pubblicò poi nel 1886 un altro volume, Le annotazioni di Mastro Titta, carnefice romano (189), in cui pubblica le annotazioni tenute dal Bugatti, il più celebre boia pontificio, sulle esecuzioni da lui eseguite in tutto lo Stato, non nella sola capitale, per tutto il periodo nel quale fu in carica (1796-1864) e anche quelle del suo successore Vincenzo Balducci, che operò solo sei anni (1864-1870), ossia fino alla caduta del potere temporale.
Oltre a fornire dati puntuali sulle esecuzioni capitali relative ai periodi citati, Ademollo ci dà, nelle introduzioni ai due volumetti, utili informazioni sulle epoche precedenti, a partire dal XIV secolo, per quanto riguarda sia la pena di morte sia le “pratiche crudeli”.
Per tutto il Medioevo, informa Ademollo, “campo di giustizia era sempre la Rupe Tarpea” dove “Presso un leone di basalto i delinquenti udivano la lettura della sentenza che li condannava, e quanto ai malfattori di bassa condizione solevasi porli a cavalcione di quel leone con una mitra in testa e con la faccia impiastricciata di miele” (Gregorovius, Storia di Roma, vol. VII, p. 853). Dal 1488, continua Ademollo, “venne designato per luogo di giustizia un recinto davanti al Ponte S. Angelo, nelle cui adiacenze era il vicolo denominato del Boja” e “Nel 27 maggio 1500, in pieno Anno Santo, i pellegrinanti a S. Pietro ebbero la dolce sorpresa di passare il Ponte fra due file d’impiccati”, nove per parte. Ma anche Campo di Fiore e altri luoghi cominciarono a venire usati per le esecuzioni (190).
Il supplizio solitamente usato fino al Cinquecento per nobili ed ecclesiastici (quando non venivano strangolati direttamente in cella, come avvenne nel 1561 al cardinal Carafa) era la decapitazione (in luoghi chiusi o con poco pubblico) mediante uno spadone. I non nobili invece (compresi fra questi i “foglianti”, ossia i giornalisti del tempo) venivano impiccati sulla forca.
Mazzolatura semplice e con squarto
I non nobili colpevoli di reati ritenuti particolarmente gravi subivano un tormento fra i più barbari: la mazzolatura semplice (cioè l’uccisione mediante bastonatura al capo con una sorta di mazza) o la mazzolatura con squarto (il condannato era colpito con una violenta bastonata al capo e, mentre ancora era tramortito, veniva squartato). E ai supplizi si affiancavano pene corporali e mutilazioni.
Nel Cinquecento, nel clima della lotta dell’inquisizione romana contro il protestantesimo, crebbe la durezza del papato come abbiamo visto più sopra, specie con Giulio III, Paolo IV, Pio V (santo) e Sisto V. Ciò si tradusse anche nell’estensione della pena di morte ad alcuni reati che non la prevedevano (ad esempio per l’aborto, di cui si è già detto parlando di Sisto V, e che fu di nuovo tolta dal suo successore) o di aggravamenti delle pene corporali.
Delle severe punizioni contro chi “biastemma”, disposte dal governatore di Roma ma su “espresso ordine… di Sua Santità”, vi è traccia anche nell’Archivio segreto pontificio: “Il signor governatore di Roma…di espresso ordine et special commissione di Sua Santità, ordina et comanda che nessuna persona…ardisca in alcun modo biastemmare o disonestamente nominare il santissimo nome dell’onnipotente Iddio o del suo unigenito figliol Jesu Christo e della gloriosa sempre vergine sua madre…o di qual si voglia santo o santa, sotto pena per la prima volta… di star con le mani ligate dietro tutto un giorno alla berlina,… et per la seconda volta, oltra la sopradicta pena, di esserli forata la lingua, et per la terza volta sotto pena della galera per cinque anni…et si darà fede ad un solo testimonio” (191).
Enunciata la legge, trovata l’eccezione
Circa vent’anni prima, nel 1566, il Catechismo romano, promulgato da Pio V in base alle decisioni del Concilio di Trento, ribadiva che le esecuzioni capitali rientravano fra le “uccisioni che non sono proibite”: “Enunciata la Legge che vieta di uccidere”, si legge, “il parroco dovrà subito indicare le uccisioni che non sono proibite. Non è infatti vietato uccidere gli animali…Altra categoria di uccisioni permessa è quella che rientra nei poteri di quei magistrati che hanno facoltà di condannare a morte. Tale facoltà, esercitata secondo le norme legali, serve a reprimere i facinorosi e a difendere gli innocenti …Per le stesse ragioni non peccano neppure coloro che, durante una guerra giusta, non mossi né da cupidigia né da crudeltà, ma solamente da amore del pubblico bene, tolgono la vita ai nemici. Vi sono anzi delle uccisioni compiute per espresso comando di Dio. I figli di Levi non peccarono quando in un solo giorno uccisero migliaia di uomini; dopo di ciò Mosè rivolse loro le parole: ‘Oggi avete consacrato le mani vostre a Dio’” (192).
Si noti come continui ad essere influente l’Antico Testamento nel giustificare l’omicidio compiuto “per espresso comando di Dio”. La Chiesa ancora oggi condivide queste divine mattanze? La Chiesa tridentina, comunque, si.
Le “giustizie” dal XVII al XIX secolo
Nel frattempo i papi continuavano ad eseguire sentenze capitali che dalla fine del Seicento vengono dettagliate, come si è detto, nel diario del Ghezzi. Esso ci permette di notare che pur prevalendo le condanne per reati comuni non mancano quelle per reati politici, come l’impiccagione già ricordata del giornalista Bernardino Scatolari ad opera di Innocenzo XI (1685), o per offese alla religione (come il furto di due pissidi…).
Complessivamente, nei 65 anni (1674-1739) annotati dal Ghezzi vi furono a Roma 210 “giustizie” (poco più di 3 all’anno), di cui circa il 40% per reati che non arrivavano all’omicidio (falsificazione di denaro, furti, rapine, reati politici o religiosi) e furono una trentina gli squartati. Nei 68 anni in cui fu carnefice Mastro Titta, invece, ossia fra il 1796 e il 1864, le “giustizie” furono 514, un record ineguagliato, cui vanno aggiunte le 13 del suo successore Balducci dal 1864 al 1870. Si tratta però di esecuzioni effettuate non solo a Roma ma in tutto lo stato pontificio e da cui vanno tolte quelle eseguite nei 4 anni in cui lo stato pontificio fu annesso alla Francia napoleonica (1810-1813), la quale, con 56 esecuzioni (13 l’anno!), diede una ben trista immagine di sé. Da notare che circa il 22% dei giustiziati dallo stato pontificio non erano omicidi o, in dieci casi, avevano commesso reati politici.
Quanto al tipo di supplizi sono notevoli le informazioni tratte dagli 8 volumi dei Voyages (1730) di padre Labat e riprodotte in francese dall’Ademollo (193). Labat testimonia che ancora ai primi del Settecento erano in uso nello stato pontificio soprattutto due tipi di tortura, entrambi molto dolorosi, della veglia e della corda, mentre le pene continuavano a essere quelle che si è detto sopra: decapitazione (da un certo punto in avanti con la mannaia), per nobili ed ecclesiastici; per i non nobili invece forca e mazzolatura semplice o con squarto. Quest’ultima, precisa ancora Ademollo, fu soppressa durante il pontificato di Benedetto XIII (1724-30) ma ripristinata dal suo successore Clemente XII.
Per la Chiesa la pena di morte è giusta
Invariate restavano anche le opinioni della Chiesa in materia di pena di morte, come si vede da ciò che insegnava il maggiore teologo del Settecento Alfonso Maria de’ Liguori, nel 1767: “solamente per tre cause è lecito uccidere un altro uomo: per l’autorità pubblica, per la propria difesa, e per la guerra giusta. Per l’autorità pubblica è ben lecito, anzi è obbligo de’ principi e de’ giudici di condannare i rei alla morte che si meritano, ed è obbligo de’ carnefici di eseguire la condanna. Dio stesso vuole che siano puniti i malfattori” (194).
Merita di essere sottolineato come queste parole fossero pronunciate tre anni dopo che era uscito in Europa il celebre saggio di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene, che rifiutava la tortura e la pena di morte, e che fu messo all’indice dalla Chiesa. Così come va notato che la pena di morte e la tortura erano in vigore nello stato pontificio mentre Federico il Grande vietava la tortura in Prussia e tortura e pena di morte furono vietate, benché per poco tempo, in Toscana.
Nello stato della Chiesa si dovette anzi aspettare l’arrivo della rivoluzione francese perché fosse introdotto un unico sistema di esecuzione, la ghigliottina, per nobili e plebei. Ma col ritorno del papa tornarono la forca (usata l’ultima volta nel 1829) e la mazzolatura semplice (ultima volta nel 1816) o con squarto (ultima volta nel 1826). Poi si impose per tutti la ghigliottina, in qualche caso la fucilazione. Mastro Titta, dunque, ebbe modo di cimentarsi con “ogni genere di supplizio” e in tutti, “mazzola, squarto, forca, ghigliottina, mostrò sempre eguale abilità” (195). Merito non da poco, se si pensa che in quei secoli furono numerosi i casi in cui il giustiziato tribolava perfino a morire per l’inesperienza dei carnefici, spesso improvvisati.
L’ultima “giustizia” fu eseguita il 9 luglio 1870. Due mesi dopo il potere temporale cessava di esistere. Nel frattempo erano continuate in parallelo anche le altre morti, ancora più lente e dolorose degli eretici arsi a fuoco lento o murati vivi e uccisi a poco a poco – come due donne di cui racconta Rucellai nello Zibaldone quaresimale, murate in due pilastri di una chiesa, “solo con una buca dove si porge loro il mangiare” (196).
Naturalmente, come dimostra l’esempio dei quattro anni di governo napoleonico a Roma, lo stato della Chiesa non era il più feroce in Europa o quello che ricorreva di più alla pena capitale. Ma era lo stato che serviva d’esempio a tutti i paesi cattolici del continente, cui forniva la giustificazione dottrinale, proprio mentre i pensatori non cattolici più avanzati contestavano la tortura e l’omicidio di stato.
… anche nel primo Novecento…
La legittimazione della pena di morte da parte della Chiesa continuò anche dopo la fine del potere temporale. Pio X nel Catechismo del 1913 ripete: “Vi sono dei casi nei quali sia lecito uccidere il prossimo? È lecito uccidere il prossimo quando si combatte in una guerra giusta, quando si eseguisce per ordine dell’autorità suprema la condanna di morte in pena di qualche delitto; e finalmente quando trattasi di necessaria e legittima difesa della vita contro un ingiusto aggressore” (197).
Allo stesso modo la pena di morte non fu cancellata nella Città del Vaticano, pur restando di fatto inapplicata. Nella Legge fondamentale del 7 giugno 1929, all’art. 4 si legge: “La pena comminata contro chi nel territorio della Città del Vaticano commette un fatto contro la vita, la integrità o la libertà personale del Sommo Pontefice è quella indicata nell’art. 1 della legge del Regno d’Italia 25 novembre 1926 n. 2008” (198). E l’art. 1 della legge del Regno d’Italia cui ci si riferisce stabiliva che “Chiunque commette un fatto diretto contro la vita, l’integrità o la libertà personale del re o del reggente è punito con la morte. La stessa pena si applica, se il fatto sia diretto contro la vita, l’integrità o la libertà personale della regina, del principe ereditario o del capo del governo” (199).
Questa norma fu abrogata solo dall’art. 44, comma 1, della legge del giugno 1969 che modificava la legislazione penale e la legislazione processuale dello Stato del Vaticano, in armonia con la svolta avviata dal Concilio Vaticano II. Ma ben più interessante del permanere formale nella legislazione di un piccolo stato, è il fatto che la pena di morte fosse sostenuta fino al 1969 e oltre dalla dottrina cattolica, il che favorì la sua permanenza nelle legislazioni di tutto il mondo.
… e anche nel secondo
Significativo è, in particolare, quello che si legge in due fra i volumi di teologia morale più difffusi, quello di Giuseppe Mausbach del 1954, e quello di Bernard Haring del 1957, continuamente riediti con imprimatur anche dopo il Concilio Vaticano II.
Mausbach, ad esempio, scrive: “La Sacra Scrittura del Vecchio testamento contiene molte prescrizioni giudiziarie, che colpiscono con la pena di morte tutta una serie di gravi peccati (l’assassinio, la bestemmia, l’idolatria, atti gravi di immoralità sessuale ecc.)… Nella Chiesa antica…il sentimento cristiano della pace e un certo senso di ritegno di fronte al versamento del sangue produssero una forma di esitazione per quanto riguarda la pena di morte”
A sua volta l’Haring scrive: “In linea di principio lo Stato ha diritto di infliggere la pena di morte per punire gravi delitti, se ciò appare necessario nell’interesse del bene pubblico. La Sacra Scrittura ribadisce energicamente questo diritto dello stato”
Si noti che il Mausbach afferma candidamente e senza trovare da eccepire che “molte prescrizioni giudiziarie” colpiscono con la pena di morte “una serie di gravi peccati”, come se fosse accettabile l’identità peccato-reato, che i cattolici hanno fatto a lungo e tutto sommato vorrebbero fare ancora…
Da rilevare inoltre come sia presentata con imbarazzo non la pena di morte ma “l’esitazione” dei primi cristiani di fronte ad essa. Opinione condivisa del resto da Haring, secondo il quale “una prassi penale troppo mite…si risolve in crudeltà verso gli innocenti”. E’ l’argomento usato oggi da fascisti e leghisti, o da chi è “aperto” alla castrazione chimica dei pedofili…
La “svolta”
Appaiono quindi come una “svolta” rispetto a una posizione bimillenaria, suffragata dal Vecchio Testamento, l’odierno rifiuto della pena di morte da parte del Vaticano e il suo impegno nella lotta per la sua abolizione a livello mondiale. Ma con quali argomenti?
Ecco le posizioni del Catechismo della Chiesa cattolica, promulgato nel 1992 da Giovanni Paolo II e riproposto sostanzialmente negli stessi termini anche nelle edizioni successive, fino al Compendio del 2005: “Nei tempi passati, da parte delle autorità legittime si è fatto comunemente ricorso a pratiche crudeli per salvaguardare la legge e l’ordine, spesso senza protesta dei pastori della Chiesa, i quali nei loro propri tribunali hanno essi stessi adottato le prescrizioni del diritto romano sulla tortura. Accanto a tali fatti deplorevoli, però, la Chiesa ha sempre insegnato il dovere della clemenza e della misericordia; ha vietato al clero di versare il sangue…. Nei tempi recenti è diventato evidente che tali pratiche crudeli non erano né necessarie per l’ordine pubblico, né conformi ai legittimi diritti della persona umana. Al contrario, esse portano alle peggiori degradazioni. Ci si deve adoperare per la loro abolizione. …
“L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani. Se invece i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi… Oggi… a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine… i casi di assoluta necessità di soppressione del reo ’sono ormai molto rari, se non di fatto inesistenti’ (Evangelium vitae)” (202).
Una svolta piena di bugie
E’ da notare intanto l’ipocrisia dei passaggi relativi alle “pratiche crudeli” che sarebbero state guardate dalla Chiesa “senza protesta” o mutuate dal diritto romano insegnando il dovere delle misericordia e vietando al clero di versare il sangue. Si tratta di menzogne in quanto l’atteggiamento della Chiesa è stato tutt’altro che di passiva accettazione o di clemenza: il divieto al clero di “versare il sangue” scomparve almeno da quando papi e vescovi guidarono gli eserciti in battaglia; Innocenzo IV e i suoi successori, come si è visto, hanno non solo introdotto ma “preteso” l’uso della tortura da parte delle autorità civili e Paolo IV ha incitato a servirsene, assolvendo i chierici che avessero mutilato o anche ucciso il torturato… Se poi pensiamo alle mutilazioni inflitte ai bestemmiatori, alla mazzolatura con squarto in vigore nello stato della chiesa e a tutto il resto elencato qui sopra si capisce che non ci fu certo nella Chiesa né clemenza né misericordia.
Altrettanto infondato è il tentativo di occultare le responsabilità della Chiesa, affermando che soltanto “nei tempi recenti” sarebbe divenuta evidente l’inutilità delle “pratiche crudeli” e che solo “oggi” lo stato avrebbe “mezzi incruenti… sufficenti per difendere” la società senza ricorrere alla pena di morte. Si è già detto come almeno da due secoli il pensiero laico avesse contestato la pena di morte e con ben altre ragioni.
Sono altri, non certo la mancanza di carceri sicure e mezzi repressivi efficaci (!), i motivi che hanno ostacolato in passato l’abolizione della pena di morte. Fra queste proprio l’idea, proposta dalla Chiesa sulla scorta della Bibbia e difesa ancora nel 1957 dai teologi, che “Chi sparge sangue umano, dall’uomo sarà sparso il suo sangue” (Numeri, 35, 16); o l’opinione del “lumen ecclesiae” Tommaso d’Aquino secondo cui la morte “giova al peccatore per l’espiazione” e serve al bene comune.
Ma la Chiesa, non potendo/volendo ammettere di essersi sbagliata, seguita a difendere la pena di morte in via di principio (“la Chiesa non esclude…il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via”) limitandosi a ritenerla “praticamente” non necessaria “oggi” anziché autocriticarsi per gli argomenti e i comportamenti usati in passato.
Un’altra forma di tortura
Ancora più ambigua la posizione della Chiesa sulla tortura che ovviamente condanna nelle forme tradizionali, da essa praticate nei secoli scorsi, ma al tempo stesso ripropone, fedele alla concezione della vita come “valle di lacrime” e sofferenza da offrire a Dio, sotto forma dell’obbligo di restare in vita, anche quando la vita sia diventata insopportabile e indegna d’essere vissuta. E’ quanto dice Giovanni Paolo II nel 1995: “Oggi, in seguito ai progressi della medicina e in un contesto culturale spesso chiuso alla trascendenza… si fa sempre più forte la tentazione dell’eutanasia, cioè di impadronirsi della morte, procurandola in anticipo e ponendo così fine ‘dolcemente’ alla vita propria o altrui. In realtà, ciò che potrebbe sembrare logico e umano, visto in profondità si presenta assurdo e disumano. … in conformità con il Magistero dei miei Predecessori e in comunione con i Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l’eutanasia è una grave violazione della Legge di Dio, in quanto uccisione deliberata moralmente inaccettabile di una persona umana” (203).
Al fondo vi è l’idea che spetta solo a Dio decidere quando mettere fine alla vita, anche per chi non crede in lui, così come la morale cattolica è il meglio per tutti, anche per chi cattolico non è.
Le stesse posizioni ha ribadito, con la stessa arroganza, il papa in carica, il 24 ottobre 2007 (204), sempre con la solita incapacità di immaginarsi un mondo non confessionale, in cui non tutti credono (anzi pochi, ormai, per verità) quello cui crede il papa. Si aggiunga che i papi, per andare sul sicuro, e come hanno mostrato i casi Welby e Englaro, intendono con eutanasia non solo la scelta attiva di porre fine alla vita ma anche quella di interrompere le cure, secondo un diritto costituzionale. La Chiesa è d’accordo solo nel rifiutare l’accanimento terapeutico, salvo non riconoscere mai che il caso sussista e facendolo sempre passare per “eutanasia”.
In questo modo si sottopongono i malati terminali o quelli ridotti in stato vegetativo permanente alla tortura di una vita impossibile, come si è cominciato a capire in Italia nel 2006 con il drammatico caso di Piergiorgio Welby, da molti anni affetto da una malattia incurabile arrivata alla fase terminale col rischio di una lunga agonia per soffocamento. Egli chiese (e alla fine ottenne non grazie allo stato ma al coraggio di un medico) di mettere dignitosamente fine alla sua vita. La risposta fu il rifiuto del funerale religioso chiesto da lui e dalla moglie e concesso con grandi onori, quasi negli stessi giorni, al pluriomicida e torturatore Pinochet (poco dopo al famoso cantante divorziato e risposato Pavarotti).
Proprio Welby, morendo, ci ricordò come quella che la Chiesa ancora pratica non sia che una moderna forma di tortura. “Addio”, ha scritto Welby ai suoi cattolicii torturatori, “Signori che fate della tortura infinita il mezzo, lo strumento obbligato di realizzazione o di difesa dei vostri valori” (205).
E’ questa in effetti, quella da cui Welby o il padre di Eluana Englaro supplicavano di essere liberati, la sola “vita” che la Chiesa tutela, anzi impone a chi la rifiuta, mentre distrugge tutte le altre nei modi più diversi, e spesso feroci, da secoli (206).
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1) in I conti con la Bibbia, II. c. III www.akkuaria.org/severinoproietti/index.html
2) ibid.
3) in De errore profanorum religione, cit. in G. Barbero [a cura], Il pensiero politico cristiano, UTET, Torino 1962
4) in C. Rendina, I papi, Newton & Compton, Roma 2005, p. 94
5) Agostino, Contro Fausto Manicheo, libro XXII, in Agostino, Tutte le opere, www.augustinus.it/italiano/index.html
6) J. Flori, La guerra santa, Bologna, Il Mulino 2003, p. 43
7) in K. Deschner, Storia criminale del cristianesimo, Ariele, Milano, vol. I, p. 71
Leone I, Epistole 5, 13, 117 in Dechner, cit., III, p. 435
9) C. Rendina, op. cit., p. 128-30
10) L. Desanctis, Il papa non è successore di Pietro, Claudiana 186
11) C. Rendina, op. cit., p. 150
12) in G. Patacchiola, Le minoranze sessuali dal tardo impero romano al XVII secolo, www.oliari.com/tesi/giuseppepatacchiola.html
13) ibid.
14) ibid.
15) K. Deschner, La croce della Chiesa, Massari ed., Bolsena 2000, p. 233
16) P. Delogu, Enciclopedia dei papi, Ist. Enciclopedia It., Roma 2000, vol. I, p. 650
17) C. Rendina, op. cit., pp. 231-33
18) N. Fabretti, I vescovi di Roma, ed. Paoline, Cinisello alsamo 1986, pp. 109-110
19) A. Borrelli, S. Leone III, in www.santiebeati.it/
20) C. Rendina, op. cit., p. 258
21) A. Piazza, in Dizionario enciclopedico dei papi, Città Nuova, Roma 1995, p. 707
22) in K. Deschner, Storia criminale cit., vol.V, p. 129-30
23) A. Borrelli, S. Leone IV, in www.santiebeati.it/
24) O. Bertolini, Enciclopedia dei papi, cit., vo. II, p. 37
25) A. Borrelli, S. Leone IX, in www.santiebeati.it/
26) P. Partner, Il Dio degli eserciti. Islam e cristianesimo: le guerre sante, Einaudi, Torino 2002, p. 93
27) J. Flori, op. cit., p. 331
28) ibid., p. 332
29) P. Partner, op. cit., p. 95
30) in K. Deschner, Storia criminale cit., vol.VI, p. 370
31) in R. H. Bainton, Il cristiano, la guerra, la pace, Gribaudi, Torino 1968, pp. 139-40
32) in Vittime della fede cristiana, tr. L. Franceschetti in www.uaar.it/
33) A. Aruffo, La Chiesa e gli ebrei, Datanews, Roma 1998, p. 26
34) L. Poliakov, Storia dell’antisemitismo, La Nuova Italia, Firenze 1974-90, v. II, p. 59
35) E. Saracini, Breve storia degli ebrei e dell’antisemitismo, Mondadori Milano 1977, p. 44
36) in Vittime etc., cit.
37) P. Partner, op. cit., p. 94
38) C. Mannucci, L’odio antico. L’antisemitismo cristiano e le sue radici, Mondadori, Milano 1993, p. 235
39) G. Messadié, Storia dell’antisemitismo, Piemme, Casale monferrato 2002, p. 177
40) ibid., p. 155
41) E. Saracini, op. cit., p. 43
42) P. Partner, op. cit., p. 94
43) S. Runciman, Storia delle crociate, Einaudi, Torino 1966, p. 792
44) ibid., p. 796
45) in K. Deschner, Storia criminale etc. cit., vol. VII, p. 79
46) ibid., vol. VII, p. 101
47) in M. T. Fumagalli Beonio Brocchieri, Cristiani in armi, Laterza, Bari 2006, p. 43
48) in J. P. Migne, Patrologia latina, Garnier, Paris, vari anni, vol. CCXLVI
49) Concili ecumenici, www.totustuus.biz/users/concili/
50) in K. Deschner, Storia criminale cit., vol. VII, p. 132
51) ibid., p. 136
52) A. Landi, Fede e civiltà, d’Anna, Messina 1977, p. 15
53) P. Partner, op. cit., p. 196
54) ibid., p. 136
55) in E. Buonaiuti, Storia del cristianesimo, Dall’Oglio, Milano 1979, vol. II, p. 320-21
56) Somma teologica, IIa IIae, q. 11, art. 3, Salani, Firenze 1949-75
57) Breve all’arcivescovo di Sens, in H.-Ch. Lea, Storia dell’inquisizione: origine e organizzazione, Feltrinelli/Bocca, Milano 1974, p. 188
58) A Enrico, in K. Dechner, Storia criminale etc., cit., vo. VII, p. 135
59) H.-Ch. Lea, op. cit., p. 289
60) in D. Canfora, La libertà al tempo dell’inquisizione, Teti, Milano 1999, p. 27
61) N. Eymerich, Manuale dell’inquisitore a.d. 1376, Piemme, Casale monferrato 1998
62) J. Boswell, Cristianesimo, tolleranza, omosessualità, Leonardo, Milano 1989, p. 355
63) in G. Patacchiola, op. cit.
64) in J. Boswell, op. cit., p. 352
65) K. Deschner, Storia criminale cit., vol. VII, p. 342
66) M. Baigent, R. Leigh, L’Inquisizione, Net, Milano 2004, p. 70
67) J. Kelly, Dizionario illustrato dei papi, Piemme, Casale Monferrato 2003, p. 553
68) C. Rendina, op. cit., p. 549
69) J. Fo, S. Tomat, L. Malucelli, Il libro nero del cristianesimo, Nuovi mondi 2000, pp. 143, 177
70) Concili ecumenici, cit
71) in S. Z. Ehler e J. B. Morrall, Chiesa e stato attraverso i secoli, Vita e pensiero, Milano 1958
72) C. Rendina, op. cit., p. 575
73) ibid.
74) v. A. Corvisieri, Chiesa e schiavitù, Paleario ed., Roma s.d., p. 51
75) B. Bennassar, Storia dell’Inquisizione spagnola, Rizzoli, Milano 2003, p. 35
76) A. Petta, Gli scheletri della Inquisizione,
www.stampalternativa.it/wordpress/index.php?p=34
77) M. Baigent etc., op. cit., p.11
78) G. Tourn, I valdesi, Claudiana, Torino 1999, p. 86
79) in S.Abbiati, A.Agnoletto, M. R. Lazzati, La stregoneria, Mondadori, Milano 1984, pp. 340-41
80) ibid.
81) H. Institor, J. Sprender, Il martello delle streghe (Malleus maleficarum), Spirali edizioni, Milano 2003
82) V. De Angelis, Il libro nero della caccia alle streghe, Piemme, Casale di Monferrato 2001, pp. 98-100
83) C. Mornese, La “stria” Gatina e i suoi carnefici, Alias, suppl. “il manifesto”, 11 settembre 2004
84) Il libro nero del cristianesimo, cit., pp. 195-96
85) K. Deschner Il gallo cantò ancora, Massari ed., Bolsena 1998, p. 418
86) La stregoneria, cit., pp. 342-348
87) in Magnum Bullarium Romanum, vol. V
88) G. Romeo, L’inquisizione nell’Italia moderna, Laterza, Bari 2002, p. 86
77) M. Baigent etc., op. cit., p.11
78) G. Tourn, I valdesi, Claudiana, Torino 1999, p. 86
79) in S.Abbiati, A.Agnoletto, M. R. Lazzati, La stregoneria, Mondadori, Milano 1984, pp. 340-41
80) ibid.
81) H. Institor, J. Sprender, Il martello delle streghe (Malleus maleficarum), Spirali edizioni, Milano 2003
82) V. De Angelis, Il libro nero della caccia alle streghe, Piemme, Casale di Monferrato 2001, pp. 98-100
83) C. Mornese, La “stria” Gatina e i suoi carnefici, Alias, suppl. “il manifesto”, 11 settembre 2004
84) Il libro nero del cristianesimo, cit., pp. 195-96
85) K. Deschner Il gallo cantò ancora, Massari ed., Bolsena 1998, p. 418
86) La stregoneria, cit., pp. 342-348
87) in Magnum Bullarium Romanum, vol. V
88) G. Romeo, L’inquisizione nell’Italia moderna, Laterza, Bari 2002, p. 86
89) in Chiesa e stato attraverso i secoli, cit.
90) S. Giletti Benso, La conquista di un testo: il Requirimiento, Bulzoni, Roma 1989
91) in Cristiani in armi, cit., p. 62
92) ibid., p. 45
93) C. Rendina, op. cit., p. 613
94) P. Hunermann, H.Denzingwer, Enchiridion symbolorum, EDB, Bologna 1995
95) in In multis depraviatis in Magnum Bullarium Romanum,
cit., vol. IV
96) Decreta 1, in L’Inquisizione, Biblioteca vaticana, Città del Vaticano 2003, p. 319 n.
97) G.Tourn, op. cit., p: 114
98) G. Tourn, op. cit., p. 116-17
99) H. Jedin, Storia della Chiesa, Jaca book, Milano 1976, v. VI, p. 600
100) G. Patacchiola, op. cit.
101) L.Ranke, Storia Papi, Sansoni, Firenze 1965, p. 258
102) F. Arduino, S. Pio V, in www.santiebeati.it/
103) in C. Rendina, op. cit., p. 654
104) ibid., p. 659
105) in Magnarum Bullarium Romanum, cit.
106) Vittorino Grossi, Il Giubileo viaggio nella storia1575,
www.vatican.va/jubilee_2000/pilgrim/documents/ju_gp_01062000-6_it.html
107) C. Rendina, op. cit., p. 658-60
108) ibid.
109) C. Rendina, op. cit., pp. 662-3
110) L. Ranke, op. cit., pp. 332-33
111) A. Ademollo, Le annotazioni di Mastro Titta, carnefice romano, Lapi tipografo, Città di Castello 1886, p. 9
112) ibid., p. 10
113) U.Ranke-Heinemann, Eunuchi per il regno dei cieli , Rizzoli, Milano 1993, p. 247
114) ibid., p. 248
115) ibid., p. 247
116) K. Deschner, La croce della Chiesa, cit., p. 68
117) U.Ranke-Heinemann, op.cit., p. 248
118) A. Ademollo, op. cit., p. 12
119) in M. Caffiero, Battesimi forzati, Viella, Roma 2004, p. 88-89
120) in G. Miccoli, Santa sede, questione ebraica e antisemitismo fra Otto e Novecento in C. Vivanti, Gli ebrei in Italia, vol. II, pp.1535-41
121) Lettere, I, in Enciclopedia dei papi, cit., vol. III
122) in U.Ranke-Heinemann, op.cit., p. 247
123) E. Saracini, op. cit., p. 112
124) C. Rendina, op. cit., p. 763
125) in L. Ceci, Santa Sede e guerra in Etiopia, “Studi storici”, n. 44, 2003
126) Pio XII, Discorsi e radiomessaggi, Città Vaticano, Roma 1940-58, voll. XVIII, novembre 1956
127) ibid., vol. XVI, settembre 1954
128) in Il monito del papa, “Civiltà Cattolica”, n. 87, 1936
129) Pio XII, Discorsi etc., cit., 1 aprile 1939
130) Giovanni Paolo II, Messaggio per la XV giornata della pace, www.vatican.va/, 1982
131) Giovanni Paolo II,Messaggio all’ONU, www.vatican.va/, 1982
132) in Chiesa e guerra, Il Mulino, Bologna 2005, p. 595
133) Catechismo della Chiesa cattolica, Città Vaticano 1992
134) Giovanni Paolo II, Omelia in Cile, www.vatican.va/, 4 aprile 1987
135) Giovanni Paolo II, Discorso a Santo Domingo 12-13 ottobre 1992, www.vatican.va/
136) Enchiridion Vaticanum, EDB, Bologna, 1962-2000
137) Benedetto XVI, Discorso V Conferenza ‘episcopato latinoamericano Brasile, 13/5/2007, www.vatican.va/
138) Benedetto XVI, Discorso all’Angelus, “La repubblica”, 27/2/2006
139) Agostino, I connubi adulterini, 2, 12
www.augustinus.it/italiano/index.html
140) in U. Ranke-Heinemann, op. cit., pp. 134-35
141) ibid.
142) ibid., p. 144
143) Tommaso d’Aquino, Somma contro i Gentili, Utet, Torino, 1997, III, CXXII
144) U. Ranke-Heinemann, op. cit., pp. 283-84
145) ibid., p. 291
146) Benedetto XVI, Convegno diocesi di Roma sulla pastorale giovanile, www.vatican.va/
147) Innocenzo III, Commentario ai sette salmi penitenziali, in Ranke-Heinemann, op. cit., p. 157
148) Ancora nel 1922, nel manuale di teologia morale del Noldin si legge “Il creatore ha posto nella natura il piacere e l’inclinazione ad esso per attirare gli uomini verso una cosa che è oscena in sé e fastidiosa nelle sue conseguenze” (in Heinemann, cit., p. 272).
149) Catechismo romano, Leonardo, Milano 1994
150) Paolo VI, Humanae vitae, www.vatican.va/
151) Giovanni Paolo II, La procreazione responsabile, www.vatican.va/
152) in Ranke-Heinemann, op. cit.
153) in K. Deschner, La croce della Chiesa, cit., p. 201
154) in Ranke-Heinemann, op. cit., p. 279-80
155) in K. Deschner, La croce della Chiesa, cit., p. 204
156) Pio XI, Casti connubi, in Tutte le encicliche dal 1740 a Pio XII, Libr. ed. Vaticana, Città del Vaticano 2004
157) Pio XII, in Ranke-Heinemann cit., p. 136
158) Ranke-Heinemann cit., p. 291
159) ibid., p. 303
160) ibid., p. 303
161) in K. Deschner, La croce della Chiesa, cit., p. 220
162) A.M. de’ Liguori, Theologiae moralis, 4 voll., Marietti, Torino 1825-28, Tract. IV, De quinto et sexsto praecepto
163) Poletti, Il magistero http://difendilavita.altervista.org/
164) in Ranke-Heinemann, cit., p. 301
165) Pio XI, Casti connubi, cit.
166) Fabbrini, Il matrimonio ebreo, www.morasha.it/ 2002
167) in Ranke-Heinemann, cit., p. 294-95
168) Comm. teologica, La speranza di salvezza per i bimbi che muoiono senza essere battezzati, 2007, www.vatican.va/
169) Pio XII, Responsabilità e missione del chirurgo in Discorsi e radiomessaggi, cit., vol. X, 1948
170) Pio XII, Discorso alle ostetriche, Gregoriana, Padova 1951
171) Jone in K. Deschner, La croce della Chiesa, cit., p. 220
172) Haring in Ranke-Heinemann, cit., p. 294-95
173) ibid.
174) ibid.
175) ibid., 301
176) ibid., 302
177) ibid.
178) T. Eagleton, Mani sporche di sangue, “il manifesto”, 5/4/2005
179) Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24/11/2002 www.vatican.va/
180) “Testimoni”, n. 2, 31 gennaio 2002
181) Giovanni Paolo II, Messaggio per la XIII giornata mondiale del malato 2005, www.vatican.va/
182) Lattanzio, Divinae Institutiones, in Bainton, cit., p. 86
183) Agostino, Città di Dio, l. I, 21 in Tutte le opere, cit.
184) in K. Deschner, Storia criminale etc., cit., vol. VI, p. 17
185) T. d’Aquino, Somma teologica, IIa-IIae, q.. 65 a. 1, Salani, Firenze cit.
186) in La libertà al tempo dell’inquisizione, cit., pp.99-102
187) A. Borioni, M. Pieri, Maledetta Isabella maledetto Colombo, Marsilio, Padova 1992, p. 248
188) A. Ademollo, Le giustizie a Roma dal 1674 al 1739 e dal1796 al 1870, Ed Forzani, Roma 1882
189) A. Ademollo, Le annotazioni di Mastro Titta, carnefice romano, Lapi tipografo, Città di Castello 1886
190) ibid., pp. 6-7
191) in I. Mereu, Storia dell’intolleranza in Europa, Bompiani, Milano 1988, p. 109
192) Catechismo romano, cit., Quinto comandamento
193) A. Ademollo, Le annotazioni etc., cit., pp. 20-36
194) A. M. de’ Liguori, Istruzione al popolo. Del quinto precetto. Del sesto precetto, www.intratext.com/bai/
195) A. Ademollo, Le annotazioni etc., cit., p. 37
196) ibid., p. 18
197) Pio X, Catechismo della dottrina cristiana, F.lli Lanzani, Milano 1913
198) in Pena di morte, Editing & Printing, www.utopia.it
199) ibid.
200) G. Mauesbach, Teologia morale, § 17. La pena di morte Ed. Paoline, Roma 1954
201) B. Haring, La legge di Cristo. Trattato di teologia morale, Morcelliana, Brescia 1957
202) Catechismo della Chiesa cattolica. Compendio, Libr. ed. Vaticana, Città vaticano 2005
203) Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 1995, www.vatican.va/
204) Benedetto XVI, Discorso alla pontificia accademia per la vita, www.vatican.va/
205) P. Welby, Lettera al Tg3, Tg 10/12/2006
206) Il 15 marzo scorso, ad esempio, il cardinale di Chicago Francis George ha formalmente annunciato l’opposizione dei vescovi statunitensi alla riforma sanitaria di Obama (e circa 59.000 suore favorevoli hanno dichiarato il loro dissenso dai vescovi) perché pur estendendo, anche se ancora con molti limiti, il diritto di cura e quindi alla vita e alla salute per milioni di cittadini, non garantisce abbastanza, secondo i vescovi, il divieto dell’uso di fondi pubblici per pratiche abortive. Solo rendendo tale divieto più chiaro (quindi più probabile il ricorso all’aborto clandestino, causa di morte per molte donne), i fautori della riforma hanno potuto ottenere il peloso consenso dei democratici antiabortisti, legati alla lobby dei vescovi.
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