Non esistono verità assolute o dogmi insindacabili. Questi sono solo strumenti concepiti per soggiogare la vostra mente

domenica 20 dicembre 2009

LA VERITA' SULL'OPUS DEI - Vista dall'interno

Cos'è L'OPUS DEI

L’Opus Dei, fondata nel 1928, è una Prelatura personale della Chiesa Cattolica. La sua missione consiste nel diffondere il messaggio che il lavoro e le circostanze ordinarie sono occasione di incontro con Dio e di servizio nei confronti degli altri, per il miglioramento della società. L’Opus Dei collabora con le chiese locali, offrendo mezzi di formazione cristiana (lezioni, ritiri, assistenza sacerdotale), rivolti a persone che desiderano rinnovare la propria vita spirituale e il proprio apostolato.
Lo spirito
L’Opus Dei aiuta a trovare Cristo nel lavoro, nella vita familiare e in tutte le attività quotidiane.
Tutti i battezzati sono chiamati a seguire Cristo, a vivere il Vangelo e a farlo conoscere. L’Opus Dei ha lo scopo di contribuire a tale missione evangelizzatrice della Chiesa, incoraggiando nei fedeli cristiani di ogni condizione uno stile di vita pienamente coerente con la fede nelle circostanze quotidiane, soprattutto attraverso la santificazione del lavoro.

«L’attività principale dell’Opus Dei consiste nel dare ai suoi membri, e a tutte le persone che lo desiderano, gli aiuti spirituali necessari per vivere da buoni cristiani in mezzo al mondo», spiegava il fondatore.
Incorporazione
Per entrare a far parte dell’Opus Dei occorre una vocazione soprannaturale: una chiamata di Dio a mettere tutta la propria vita al suo servizio e a diffondere il messaggio che tutti possono raggiungere la santità attraverso il lavoro e la vita quotidiana.
Quando una persona diventa dell’Opus Dei, continua a essere un cittadino e un cattolico come gli altri. Continua ad appartenere alla sua diocesi e può partecipare a tutte le attività, politiche, religiose o culturali che desidera. L’impegno con la Prelatura è di carattere contrattuale ed esclude i voti (di povertà, castità e obbedienza) propri degli ordini religiosi.

1928. 2 ottobre. A Madrid, Josemaría Escrivá, durante gli esercizi spirituali, fonda l’Opus Dei, per ispirazione divina.

FONTE

LA VERITA'

Ecco ora la testimonianza di Emanuela Provera, ex numeraria dell'OPUS DEI, in un intervista:

Cosa è esattamente l’Opus Dei?

Una prelatura personale della Chiesa: una specie di diocesi senza limiti territoriali.

Quante persone ne fanno parte?

La prelatura dice 85mila.

Come si entra in contatto con l’Opera?

Gestisce scuole, centri culturali e sportivi, residenze universitarie, il campus biomedico. Molti entrano in contatto senza saperlo.

Perché, non lo dichiarano?

No, nei nomi dei centri non compare mai la parola “Opus Dei”. Si sa che le scuole si ispirano a principi cristiani ma non si sa come poi vivono i ragazzi lì dentro.

Cosa succede?

Li seguono tutor dell’Opera: individuano quelli di selezione e li portano per il piano inclinato.

Cosa è?

Un percorso di formazione per convincerli a entrare nell’Opera perché hanno la vocazione. Può esser vero; ma io testimonio di troppi casi di manipolazione, illegalità, immoralità.

Come si entra poi?

Si scrive una lettera al prelato e si devono superare 3 tappe di incorporazione.

Quanto dura questo percorso?

Cinque anni. Si inizia a insinuare la vocazione pure agli 11enni. Formalmente fino a 14 anni e mezzo non sono dell’Opera ma li si fa già vivere da numerari, cioè chi ne fa parte giuridicamente.

Per esempio?

Gli si fa usare il cilicio e la “disciplina”.

Di che si tratta?

Il cilicio è una catena di ferro con delle punte. Si mette alla coscia perché crei ferite. La “disciplina” è una frusta.

Altre “mortificazioni”?

Le numerarie, per esempio, dormono sempre su un’asse di legno. Per anni e anni.

E le famiglie?

La verità, dice l’Opera, va rivelata solo a chi può accoglierla. Non devi dire nulla a casa: “metti a rischio la tua vocazione”.

Ci sono anche libri, musica e film “vietati”?

Sì. Ma che vocazione è una vocazione che va protetta da tutto? Per 14 anni non sono andata al cinema e all’università avevo un testo laicista sotto chiave: non poteva girare per il centro.

I numerari (che non possono sposarsi) vivono in case apposta per loro?

Sì, gli uomini in delle sedi, le donne in altre. La separazione è rigida: la donna è vista sempre come tentatrice.

La maggior parte lavora per l’Opera?

Molti: serve manovalanza per gestirne l’impero. Alcuni hanno i contributi, tutti gli altri lavorano gratis. E pensare che l’Opera proclama la santificazione del lavoro!

E poi i numerari devono fare testamento a favore dell’Opus Dei.

È obbligatorio.

C’è un aspetto classista nell’Opus Dei?

Eccome. È esplicito.

Poi, dice lei, ci si accorge che qualcosa non va.

Non te ne accorgi: ti ammali. Tanti numerari sono curati con psicofarmaci.

Ma che ci guadagnerebbe l’Opus Dei?

Forte immagine, manovalanza gratis, soldi. Dove sono i gettiti fiscali dei contributi mensili? Tutti i soprannumerari (membri “esterni” sposati che non vivono nei centri, ndr) devono versare ogni mese denaro, lo sapeva?

Lei lo ha fatto, come ne esce?

Serve una dispensa del prelato: fra laici e prelatura c’è un contratto ma non è rescindibile da entrambe le parti! Ci vogliono anni. Io ce ne ho messi tre.

Fra numerari non si parla di questo?

No: è vietato parlare di questioni personali. Per questo noi ex dobbiamo uscire in pubblico: per essere intercettati da chi esce e pensa di essere solo, senza lavoro, identità, affetti. È drammatico.

Cosa ha provato quando è uscita?

Pace, gioia, liberazione. Anche nel fare cose piccole: non andare a letto alla stessa ora, chiamare un amico, andare al mare con un costume normale…

Gusta la vita insomma.

Ancora oggi. E voi non potrete mai immaginare quanto. Stare nell’Opera è peggio del carcere: almeno i detenuti prima hanno avuto una vita normale.

La prima cosa che ha fatto fuori?

Sono andata al mare e al cinema, all’aperto. La notte non ho dormito per la felicità.

Poi si è innamorata e si è sposata.

Grazie a Dio ho conosciuto mio marito. Ho potuto scrivere il libro proprio grazie alla stabilità affettiva che ho trovato. Ed è difficile: quando esci dall’Opera sei di un’ingenuità fortissima, non hai mai visto un uomo o una donna, non sai comportarti, sei infantile e molto vulnerabile.

Come ha vissuto, da numeraria, i grandi eventi storici? Che ssò, il muro di Berlino?

Guardi mi sono accorta a malapena che era morto Borsellino. Nei centri si vede solo il telegiornale registrato, da cui tolgono certe notizie. Come per i giornali: quelli che puoi leggere sono tagliati, non ci sono tutte le pagine. Non sapevamo delle elezioni… Capisce che menomazione intellettuale?

Crede ancora in Dio?

Sono credente praticante. Ma ci sono ex numerari atei, chi si è sposato, chi è gay: ognuno cerca di recuperare la sua identità.

Cosa pensa di Escrivà, il fondatore dell’Opera? La Chiesa l’ha fatto santo nel 2002.

Mi crea una conflittualità interna. La Chiesa, che per me è madre, l’ha proclamato santo ma non vorrei essere nei suoi panni, con tanta devastazione di vite sulla coscienza, di fronte a Dio. Avrei paura.

Emanuela Provera ha scritto un libro sulla sua storia eccolo qui sotto:




La Chiesa Cattolica continua a cercare di comandare con sistemi da medioevo le vite di tutti quelli che non riescono ad usare la propria testa per ragionare.

giovedì 3 dicembre 2009

VIA LIBERA DEL VATICANO ALLA BEATIFICAZIONE DI WOJTYLA. MA PER FRANZONI RESTANO I DUBBI


Dopo una valutazione della commissione teologica incaricata dalla Congregazione per le cause dei Santi condotta tra accelerazioni e frenate, ora sembra tutto a posto: Karol Wojtyla può essere beatificato. Esaminato il faldone di migliaia di pagine che costituisce la positio (la documentazione relativa alle “virtù eroiche” del candidato) preparata dal postulatore della causa, il polacco Slawomir Oder, su richiesta del relatore, il domenicano francese p. Daniel Ols, ora il dicastero vaticano passa la palla a Benedetto XVI, al quale spetta l’ultima parola. L’iter, tuttavia, non è ancora concluso: Ratzinger dovrà emanare dapprima un decreto che riconosca le virtù eroiche, poi dovrà essere completata l’istruttoria per l’accertamento della guarigione miracolosa di una suora francese - fase che implica la partecipazione di una commissione medica, una teologica e della Congregazione dei Santi -, quindi il papa prenderà la decisione definitiva. Ancora incerta, dunque, la definizione di una data.

La causa di beatificazione di Wojtyla è partita a tempo di record contravvenendo, grazie ad una deroga di Ratzinger, alla norma che vuole che si lascino passare almeno cinque anni dalla morte del candidato. Il 13 maggio 2005, a poco più di un mese dalla scomparsa di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI annunciava, infatti, in seguito alle richieste del collegio cardinalizio, l’avvio del procedimento, che prendeva il via formalmente il 28 giugno con la causa diocesana, conclusasi due anni dopo, in coincidenza con il secondo anniversario della scomparsa di Woytyla, il 2 aprile 2007.

Tra i circa 120 testimoni ai quali in quella sede, sotto vincolo di segretezza, è stata chiesta una deposizione personale riguardo all’operato di Wojtyla nel corso della sua vita e soprattutto durante i 27 anni del suo pontificato, c’è anche il teologo Giovanni Franzoni (immagine sotto), già abate di San Paolo fuori le Mura a Roma, tra i primi animatori delle comunità di base, che nel dicembre 2005 fu tra i firmatari di un ''appello alla chiarezza'' sulla beatificazione di Giovanni Paolo II (v. Adista n. 87/05): una presa di distanza rispetto alla generalizzata ed entusiastica richiesta di un Wojtyla “santo subito”.







Franzoni affermava, nella deposizione, datata 7 marzo 2007, di avere “fondate riserve alla beatificazione di papa Wojtyla”, pur non dimenticando “gli aspetti a mio parere luminosi” della sua azione. Nel caso Ior-Banco Ambrosiano, per cominciare, il papa “violò gravemente le virtù della prudenza e della fortezza”, non favorendo, come apparve, la ricerca della verità sul caso. E beatificare un papa che, “su un tema tanto scottante, non ha fatto luce, mi sembrerebbe assai grave”; l’impressione è che il papa “abbia sacrificato l’accertamento della verità per non compromettere l’istituzione ecclesiastica che avrebbe subito danni rilevantissimi se il mondo intero avesse scoperto trame incredibili e imbrogli economici inimmaginabili”.



Un altro ambito che costituisce un’“ombra” del pontificato wojtyliano è la beatificazione di Pio IX, papa che aveva rifiutato la grazia a due patrioti e aveva fatto rapire un bambino ebreo battezzato perché fosse educato alla “vera religione” (v. Adista n. 49/00). Dopo gesti coraggiosi verso il popolo ebraico come la visita alla grande Sinagoga di Roma nel 1986, scriveva Franzoni, l’annunciata beatificazione di Pio IX “appariva contraddittoria e incomprensibile”. L’impressione del teologo è che, con essa, “volesse proclamare l’inattaccabilità e la supremazia del pontificato romano”. Franzoni si chiedeva quindi se in tale occasione Wojtyla avesse osservato le virtù della prudenza e della temperanza.



Imprudente il papa polacco fu, secondo l’animatore della comunità di base di S. Paolo, nella reiterata punizione della libertà di ricerca teologica: molti i teologi non allineati che furono allontanati dalle cattedre o dalla ricerca, il più delle volte con processi ingiusti e senza possibilità di difendersi: “Questa situazione è particolarmente stridente - si legge nella deposizione di Franzoni - in un papa che è andato pellegrino in tutto il mondo a proclamare le esigenze della giustizia e l’intangibilità dei diritti umani”, ma che “non volle mai ricevere pubblicamene in udienza i ‘dissenzienti’”.

Franzoni contesta anche il ruolo avuto da Wojtyla nella promozione della donna nella Chiesa: “Pur avendo più volte esaltato il ‘genio femminile’ ed avendo dedicato alla ‘dignità della donna’ una lettera apostolica (la Mulieris dignitatem del 1988), in realtà Wojtyla non ha ascoltato le richieste delle donne”; le ha in realtà soffocate, interpretandole “a modo suo per conservare lo status quo dell’istituzione ecclesiastica”. Anche sul celibato sacerdotale il papa polacco si dimostrò estremamente restio ad aprire un dibattito, compiendo, in questo modo, “una scelta assai temeraria”. Anzi, insistette talmente sul legame diretto tra sacerdozio e celibato da “rendere di serie B i sacerdoti delle Chiese cattoliche orientali, spesso sposati”; e da relegare in uno spazio di totale emarginazione e abbandono le compagne e i figli di preti che avevano relazioni nascoste.


Un altro tasto dolente nel pontificato di Giovanni Paolo II è quello riguardante il rapporto con mons. Romero, da lui accolto con grande freddezza quando lo ricevette in udienza nel 1979, consigliandogli di “andare ‘più d’accordo’ con il governo”: Romero ne era rimasto “costernato”, scrive Franzoni riportando una testimonianza diretta, quella di una suora che aveva incontrato Romero di ritorno da quell’incontro; ma al di là di ciò, “è un fatto che Wojtyla non fece gesti pubblici inequivocabili per mostrare di essere dalla parte di Romero, e di sostenerlo”; avrebbe infatti potuto crearlo cardinale nel suo primo concistoro, quello stesso anno, ma non lo fece.







Giovanni Paolo II rimase ancorato strettamente al suo ministero fino alla fine, nonostante la malattia. “È stato prudente a voler rimanere in carica quando era evidente da tanti mesi la sua impossibilità di governare?”, si chiede Franzoni, esprimendo anche dubbi riguardo al fatto che il papa, in quel frangente, abbia “dimostrato in modo forte le virtù dell’umiltà e della prudenza”.

LINK

LA FABBRICA DEI SANTI


Come Maria, molti altri “santi” Cristiani non sono personaggi storici ma, di fatto, sono gli dei di altre culture, usurpati e retrocessi allo scopo di unificare il “Sacro Romano Impero”. Di questa fabbricazione di santi Walker (1) dice, “Il canone dei santi fu la tecnica Cristiana per preservare il politeismo pagano che la gente voleva, mentre si fingeva di adorare un solo Dio”.
L’Enciclopedia Cattolica stessa ammette, “E’ stato detto giustamente che i ‘Santi sono successori degli Dei’.

Sono stati citati casi di feste pagane che sono diventate Cristiane da Whelles (2);
di templi pagani consacrati all’adorazione del vero Dio; di statue di Dei pagani battezzate e trasformate in Santi Cristiani”.
Nel processo di fabbricazione dei santi, i Cristiani presero dee e dei come Artemide (S. Artemido/Ursula) e Dioniso (S. Denis), tra molti altri, modificarono i loro nomi, e diedero loro grandi exploit “storiche”. In aggiunta, i templi Pagani o “tombe” di dei furono trasformati nelle chiese Cristiane. Per esempio, la “tomba di Dioniso/Bacco” fu trasformata nella chiesa di S. Bacco.


Come riferisce Higgins (3).
Sulla adorazione dei santi Bochart (4) dice, “Essi hanno trasferito ai loro santi tutto l’equipaggiamento degli Dei Pagani: a S. Wolfgang l’accetta, o uncino di Saturno; a Mosè i corni di Giove Ammone; a S. Pietro le chiavi di Giano. In breve, essi hanno cacciato via tutti gli Dei dal Panteon a Roma, per mettere al loro posto tutti i Santi, le cui immagini essi adorano con pari devozione di quelli che erano un tempo gli Dei Pagani. Essi li vestono in abbigliamento, li coronano con ghirlande di fiori, li portano in processione, si inchinano davanti a loro, rivolgono ad essi le loro preghiere, li fanno discendere dal cielo, attribuiscono ad essi virtù miracolose”.

Tutti questi santi fasulli, naturalmente, erano altamente redditizi poiché proliferarono reliquie false come i loro capelli, dita ed altre ossa e parti del corpo.
Come asserisce Walker (4):
La chiesa che uccise i pagani perché adoravano falsi dei fu essa stessa colpevole di adorare falsi santi – che, a volte, erano persino le stesse divinità di quelle dei pagani… La chiesa, comunque, non ha mai perso di vista il senso pratico comune su un punto; i santi erano fonti principali del proprio introito, grazie al sistema obbligatorio di pellegrinaggio, donazioni, e decime…. Le moltitudini di santi fasulli o commerciali vengono trattate dagli studiosi moderni Cattolici con una certa tolleranza divertita, come se le fantasie dei fabbricatori di santi avessero lo stesso fascino dei racconti inventati da bambini svegli. Viene raramente ammesso che queste fantasie non erano intese per divertire ma invece per defraudare. I santi venivano inventati per guadagnare danaro per la chiesa, e molti dei santi inventati continuano a farlo, poiché la chiesa si trattiene dal pubblicizzare le loro origini spurie per evitare che tale pubblicità possa deludere i fedeli – che, tradotto, significa che le donazioni potrebbero cessare.




Riferimenti bibliografici:
1) Walker, Barbara, The Woman’s Dictionary of .Symbols and Sacred Objects, Harper, 1988

2) Wheless, Joseph, Is It God’s Word?, www.infidels.org

3) Higgins, Godfrey, Esq., Anacalypsis, A&B Books, 1992

4) Walker, Barbara, The Woman’s Encyelopedia of Myths and Secrets, Harper, 1983

Da "The Christ Conspiracy" di Acharya s